1 dicembre 2005

"Faut-il dire notre pensée intime?"

“Faut-il dire notre pensée intime? Il est à craindre que la vue exacte de ce qu’est la langue ne conduise à douter de l’avenir de la linguistique. Il y a disproportion, pour cette science, entre la somme d’opérations nécessaires pour saisir rationnellement l’objet, et l’importance de l’objet: de même qu’il aurait disproportion entre la recherche scientifique de ce qui se passe pendant une partie de jeu et l’[ ] ”.
La linguistica come scienza della relazione tra essere ed espressione è l'area di esperienza, di riflessione, di conoscenza cui è dedicata questa ipotesi di blog. Le sospese parole di Ferdinand de Saussure poste in esordio (Écrits de linguistique générale, texte établi et édité par Simon Bouquet et Rudolf Engler, Gallimard, Paris 2002, p. 87) destinavano alla linguistica, ora è più di un secolo, un futuro improbabile perché impervio e necessariamente razionale.
La profezia si è avverata. Molti (e certo la maggioranza di coloro che oggi si professano linguisti) direbbero il contrario. Nei cento anni che ci separano dal momento in cui quelle parole furono concepite, la linguistica razionale intravista da Saussure, tra mille incertezze di prospettiva, ha però vissuto una fragile esistenza. Essa è apparsa sporadicamente tra i pensieri e le pagine di pochi cultori, di norma ai margini della disciplina e estranei alle tendenze e alle scuole volta per volta ritenute più promettenti e meritevoli di attenzione.
È forse un destino ineluttabile ed è definitiva la parola di Saussure (non si è intelligenti per nulla!). A cavaliere tra Ottocento e Novecento, due secoli colmi di ricerche su lingue e linguaggio, egli giudicò implacabilmente gli studi linguistici come un imponente coacervo di stupidaggini, da un lato per esperienza, dall'altro per profezia.
Proprio come fa con la virtù un piccolo ma importante personaggio flaubertiano, la scienza della relazione tra essere ed espressione va però praticata senza crederci, con Saussure e contro la sua profezia. In questa prassi quotidiana, in questa incessante sperimentazione di un nuovo punto di vista consiste infatti la sola ragionevole fede che la linguistica oggi richiede.

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