12 luglio 2011

Baleno

“Considérée à n'importe quel point de vue, la langue ne consiste pas en un ensemble de valeurs positives et absolues mais dans un ensemble de valeurs négatives ou de valeurs relatives n'ayant d'existence que par le fait de leur opposition”.
Tra gli appunti di Ferdinand de Saussure ritrovati or sono tre lustri, il passaggio non rivela idee che non si sapeva gli appartenessero.
Vi si trova però la sua concezione dell'espressione umana esposta fuori delle molte mediazioni attraverso le quali è stato divulgato il suo pensiero (o quello attribuitogli).
Si vede così uscire proprio dalla sua penna, dal tratto nervoso e aforistico, la semplicissima idea che la lingua, "considérée à n'importe quel point de vue", s'istituisce come negatività relazionale e oppositiva. E, vale la pena di aggiungere, per questo suo carattere essa è elementarmente esemplare dell'insieme di tutto ciò che è umano, di cui nulla è comprensibile se si scambiano per sostanze le apparenze proiettate dalle relazioni oppositive.
Sono parole che fanno subito chiarezza come, intorno a sé, la fa per un attimo un baleno, spentosi il quale la consueta oscurità, densa e impenetrabile, riafferma il suo naturale e incontestabile diritto a regnare immutabile.

8 commenti:

  1. Sesto Sereno12/7/11 14:21

    Allora, illustre Apollonio, della lingua, come di un dio, si predica veramente solo ciò che non è, mentre
    ciò che essa veramente è, rimane insondabile o senza importanza.
    Blak

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  2. Di teologia, caro lettore, Apollonio è digiuno. E di linguistica sa molto meno del necessario a mettere in piedi un discorso accettabilmente sensato e minimamente dotto. Tenta allora di commentare a sua volta il Suo commento. Alla buona: lo scuserà. Della lingua si prova a determinare sperimentalmente ciò che essa è; meglio, come essa procede, visto che è un processo incessante. Per farlo, ci si fonda sull'ipotesi che, in essa, vigano essenzialmente delle relazioni oppositive e delle differenze; che essa sia un sistema complesso di relazioni e di differenze. Relazioni e differenze proiettano un universo sensibile di apparenze: sono i significati che ci vengono in mente, sono i significanti che udiamo (con l'orecchio della mente prima che con quello fisico). Tali apparenze manifestano variamente le relazioni sistematiche. Non sono prive di importanza (anche se, dandosi il caso, possono mancare di pertinenza). Non vanno però confuse con i valori oppositivi e differenziali. Prenda per es. le -o di mano e di temo. Sono fisicamente la stessa "cosa". Il Suo orecchio fisico le sente come la stessa "cosa". I loro valori linguistici, però, sono radicalmente differenti. Tanto è vero che a una Lei associa l'apparenza interpretativa 'femminile singolare', all'altra 'prima persona del presente indicativo' (per dirla grossolanamente, perché anche queste a ben vedere sono solo etichette da grammatici). Come succede questo piccolo miracolo? Perché i loro valori linguistici non sono in funzione del loro aspetto materiale (che pure Lei, udendo, tiene nella giusta considerazione) e sono in funzione invece delle reti di opposizioni in cui le due -o entrano. Tali reti di relazioni sono appunto diverse nei due casi, come Lei può verificare facilmente, da un lato, considerando con cosa le due -o sono combinate, dall'altro, facendo variare ciascuna -o con ciò che può sostituirla in quella specifica combinazione. E sono dunque le reti di relazioni diverse che qualificano ciò che Lei sente e ciò che Lei capisce, permettendoLe di dare a ciò che sente e capisce appunto i giusti valori, e non la loro (sembrerà paradossale) sostanziale apparenza. L'essere della lingua, insomma, è l'insieme processuale, articolato e sistematico di innumerabili valori negativi, oppositivamente rilevati. Difficile? Apollonio non crede. Inusuale? Certamente. Difficile perché inusuale o inusuale perché difficile? E chi lo sa? Certo, stare sul già noto, magari verniciandolo di (strepitosamente) nuovo di tanto in tanto, è più comodo. E ragionare anche sulle proprie esperienze elementari, ma vale la pena? E poi, uffa!, ci sono già salute, vita associata, relazioni umane, conti che non tornano, politica, giornali, gazzette, TV, blog (questo incluso) e così via che ci danno già tanto da pensare... Che ci si possa almeno esprimere senza (provare a) sapere ciò che si fa. Non sapere cosa si fa, caro lettore, è una delle condizioni più riposanti che esistano ("Perdona loro...": perbacco! Di nuovo la teologia?). E ragionevoli: tanto a saperlo veramente non ci si riuscirà mai. Sebbene...

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  3. Sesto Sereno12/7/11 16:30

    Grazie, sapiente Apollonio, per il bel metacommento (questa poi..!).
    Bello, interessante, stimolante, perché nella mente di questo Suo sereno lettore (sereno, nonostante politica, vita associata....e, invece, grazie anche a questo blog) accende tanti baleni che fanno chiarezza. Per un po'.....sebbene.
    Blak

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  4. Nanda, molto divertita - e ammirata- dice. grazie Apollonio!
    Nanda Cremascoli

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  5. Enuncia Apollonio d'essere digiuno di teologia; non mi pare dubbio che si tratti d'un digiuno che non genera appetito. Ciò che "manca" non è desiderato, non è "cibo" di cui ci si possa nutrire. Modo secco (da approvare) per mettere fuori campo la pretesa millenaria di riportare la divinità entro quella "negatività relazionale ed oppositiva" in cui è istituita la lingua e così ottenere una (la) somma "rassicurazione d'esistenza ... dalla relazione con la sua espressione". Ad una espressione propria, infatti, si riduce Dio operando appunto "teologicamente".
    Ma la scienza sperimentale che Apollonio si sforza (efficacemente) di condurre fuori dall'incapacità d'accettare il dato per cui nella lingua (e nell'esistente, proietto incautamente) non ci sono "cose" ma solo nessi relazionali privi di residuo ontologico, si rivela non all'oscuro della divinità. Enuncia anche, difatti, che "l'attività funzionale della lingua è nascosta e si sviluppa ininterrottamente negli esseri umani e forse anche altrove", anche se subito con un sussulto di cautela, chiede: "come e perchè escludere tale possibilità"?
    Riafferma, mi sembra proprio, la fondazione della scienza di Pitagora e della linea di pensiero che, attraverso Platone, è la fonte d'ogni nostra "verificata" conoscenza. La visione di qualcosa che non è nell'esistente accende l'intelligenza e la rende capace di costruire scienza (Simone Weil). Potrebbe esser questo "capire e sentire" ikl nocciolo di quell' "opporsi al nulla" proprio degli uomini dotati di aura?. Mi sbaglio, Apollonio?

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  6. Enuncia Apollonio d’essere digiuno di teologia. Si tratta d’un digiuno che non genera appetito, tutt’altro. Quando poco dopo s’avvede d’un barbaglio teologico prodotto dal suo stesso discorso, subito l’avvolge d’una guaina d’estraneità, quasi fosse prodotto intrusivo di un altro “essere che si esprime”. Apollonio oppone a questo “altro da sé” un valore emotivo di distacco (“perbacco!”), seguito da una reiterazione dell’espulsione già definitiva in limine per l’asserzione del digiuno, ma che ora deve rafforzarsi. Per l’insistenza pervicace del movente teologico, gli appare adesso necessaria una marca aggressiva d’allontanamento, rammostrata con chiarezza dalla modalità interrogativa (“di nuovo teologia?”), come dire: “ritorni dopo che t’ho cacciata? Accetti quindi di patire la mia violenta reazione?”. Costrutto la cui potente marcatura emotiva è percepibile a fondo solo da chi abbia mai assistito (da partecipante o meno) ad una scazzottata napoletana di quelle ancora condotte con le regole di lealtà d’un duello, al termine del quale chi possa rappresentarsi come vincitore non manca mai di dire secco secco: “vuò u’ riesto? I so’ cha!”.

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  7. Nel suo duello con il plurimillenario marchingegno teologico, Apollonio può ben proclamarsi vincitore, forse il primo vincitore.
    Scrive Giovanni Mazzillo (relazione dell’11 marzo 2011 per l’associazione teologica di Noto) che la teologia è caratterizzata da “un rapporto bipolare di fondo … senza il quale la teologia non esisterebbe: Dio e l’uomo”. Esattissima notazione, preziosa perché esprime breviter ogni possibile orizzonte del teologico.
    Nell’esprimere Dio con la lingua interiore, nel pensiero “come si dice di solito”, l’uomo “si costituisce in quanto subjectum grazie ad un’oggettivazione espressiva”.
    Di certo esistono molti altri “livelli” di espressione, più comuni ed immensamente più numerosi, ciascuno idoneo a stabilire quella “relazione fra essere ed espressione che crea nello stesso istante l’uno in quanto essere che si esprime, l’altra in quanto espressione dell’essere”. Ma il grado dell’espressione di Dio è incommensurabilmente peculiare. Una vola “teologicamente” espresso l’Essere sommo, l’uomo vi si pone in relazione appunto “bipolare”; così ottiene non una “momentanea rassicurazione d’esistenza (che) gli viene dalla relazione con la sua espressione”, come accade di solito, bensì la somma e definitiva rassicurazione della propria esistenza per una sua espressione che è d’eterno, d’infinito, d’onnipotenza e ad un tempo d’amore e di bontà assoluti. Non è difficile riscontrare sperimentalmente nella storia d’ogni religione di qualsivoglia specie e natura, la costante bipolarità Dio-uomo, laddove l’esistenza dell’uomo è funzione di quella del Dio espresso. Questa relazione fra l’uomo e la sua somma espressione doveva essere chiara a Vercingetorice assediato in Alesia che implorava Cesare di risparmiare il suo popolo così che gli dei di questo potessero sopravvivere.
    La soccombenza della teologia può (potrebbe) riaprire, dopo circa due millenni e sei secoli, la via per l’indagine sulla Divinità nel suo essere altro dall’espressione umana.
    Si intravede questo percorso in enunciazioni come “nella sua massima parte … l’attività funzionale della lingua è nascosta e si sviluppa ininterrottamente e in silenzio negli esseri umani: forse anche altrove. Come e perché escludere tale possibilità?”. La conoscenza sperimentale (scientifica, come si dice di solito) è la sola di cui si disponga. La relazione espressiva è verificata nel senso che quando si acquisisce una conoscenza scientifica, si è raggiunta una relativa certezza di trovarsi in relazione rappresentativa non con un proprio prodotto espressivo per finalità di rassicurazione d’esistenza, ma con una processualità sistematica d’esistenza relazionale che svela prima di tutto la mancanza di residui ontologici degli “oggetti” e ne percepisce la costitutiva relazionalità modificabile.
    L’orientamento appassionato della scienza alla ricerca di Dio in ogni momento della sua attività, con gli effetti di illuminazione dell’intelligenza, è l’apporto fondamentale di Pitagora e Platone, come sembra aver dimostrato Simone Weil. Questo esclude che esista un sapere teologico che sia diverso e separato dal sapere scientifico.
    Sbaglio, Apollonio?

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  8. Gentile e appassionato lettore, Lei chiede ad Apollonio se sbaglia. Di suo, egli non sa nemmeno se sbaglia lui medesimo (inclina però a credere di sì). Decidere degli sbagli altrui è faccenda che lo supera (in vacanza, poi...). Lo perdoni, di conseguenza. Ha letto con interesse. Sulla questione di scienza e teologia ha delle intuizioni (il suo alter ego del resto ne ha scritto sotto la forma irresponsabile di vari aforismi). Le raccomanda soprattutto di non prenderlo per qualcuno che giudica. Apollonio reagisce (come diceva Barthes) a ciò che lo affascina (non a tutto ciò che lo affascina, malauguratamente), a ciò che lo ferisce (non a tutto ciò che lo ferisce, grazie al Cielo... Lo vede? Di nuovo la teologia).

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