9 agosto 2011

Finire (1)

Un'estate fresca e piovosa. "Ma la pioggia finirà?" è capitato di sentire chiedere sotto ombrelloni dalla mutata destinazione. Domanda straniante, dato il contesto, che nello spirito di Apollonio porta a galla lontane riflessioni sulla sintassi della fine. Qui, un brandello. Capiterà di pescarne altri. La fine è un tema sempre affascinante e, visto l'inusuale silenzio, si può stare certi che qualcuno si sarà chiesto se, per caso, Apollonio non l'avesse finalmente piantata. Non ancora, risponde questo post sulla fine. Non ancora.
"La pioggia finisce", allora. Una proposizione semplicissima. Un nome, come soggetto, un verbo intransitivo, come predicato. Lo stesso schema di "La pioggia crepita". L'una e l'altra corredate in parallelo, a mo' di elementari parafrasi, da nessi nominali altrettanto semplici: "La fine della pioggia", "Il crepito della pioggia", coi predicati non più verbali a fungere da nocciolo nominale e il soggetto non più soggetto a fungere da complemento.
Come succede allora che a "La pioggia finisce" corrisponde bene "Finisce di piovere", mentre a "La pioggia crepita" non è banalmente accostabile "Crepita di piovere"?
Dietro il medesimo schema grammaticale di superficie si celano circuiterie funzionali differenti, di cui si coglie di preferenza l'aspetto interpretativo (o semantico, come si preferisce qualificarlo), considerandolo per ciò stesso il fondamentale.
In "La pioggia finisce", incapsulata dentro l'involucro di un nome e di un nome che fa da soggetto, la funzione predicativa di "la pioggia" estende tuttavia la sua portata all'intera proposizione. Lungi dall'essere il predicato principale dell'insieme, il verbo "finisce" ne è solo un ausiliare aspettuale. In altri termini, "la pioggia", predicazione principale della proposizione, vi è considerata dal punto di vista del suo cessare: "La pioggia finisce" corrisponde appunto a "Finisce di piovere".
Anche nel soggetto di "La pioggia crepita" c'è, incapsulata in un nesso nominale, una funzione predicativa; c'è, se si vuol dire così, "il piovere". Questa volta, tale predicazione vi è però come costretta. Con l'intero suo involucro nominale come specifico carattere, si presta così a venire determinata dalla predicazione del verbo "crepita", che è la principale dell'insieme.
Aspetti e rapporti superficiali identici, insomma, ma dipendenze funzionali molto differenti. È la lingua. Nel caso specifico, non è, ovviamente, la lingua in sé ma la lingua nella declinazione che le danno l'italiano e molti altri idiomi apparentati, così attenti (a ciò che pare) alla fine e al principio da destinarvi specifici artifizi di facile articolazione grammaticale.
Nessuno può escludere che altre ipotetiche declinazioni abbiano fatto, facciano o faranno del "crepito", come di altre sonorità legate al cadere della pioggia, una modalità da affidare a una funzione ausiliaria, leggera come impone sempre la sintassi, al pari del "finire" italiano.
Nessuno può escludere d'altra parte che, anche in italiano, uno spirito bizzarro, fosse solo per il gusto di provocare uno straniante cortocircuito giocando con le relazioni nascoste delle proposizioni, abbracciato alla sua bella tra le lenzuola, non se ne sia già uscito o non se ne esca con un insinuante "Ascolta... crepita di piovere".

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