18 settembre 2011

Lingua loro (23): "il psicodramma"

"Polanski gestisce il set da grande maestro, riesce a far scorrere il psicodramma con naturalezza...". Non è un blogger qualsiasi (come Apollonio) a scriverlo in uno dei tanti post ortograficamente scarrupati che pullulano in rete ma (se non si tratta di un clamoroso caso di omonimia) un importante e ormai anziano scrittore-giornalista. Romano. Insomma, un senatore della repubblica delle lettere nazionali. Lo fa inoltre in una paludata recensione sul contegnoso supplemento culturale di un autorevole quotidiano politico-economico. Oggi. 
Non protestino le vittime, antiche e recenti, della matita rossa e blu di crudeli e inflessibili insegnanti. Tale non fu evidentemente Pier Paolo Pasolini, che da insegnante ebbe tra i banchi l'importante scrittore, se di lui si tratta. O forse fu crudelissimo, Pasolini, confermando il pargolo in un possibile errore di autovalutazione e procurando così materia per uno psicodramma ancora in atto.
La norma (ortografica) è mobile, del resto. Come tutto ciò che è socialmente fondato, c'è chi la fa, chi la brandisce, chi le si adegua (per conformismo e buona creanza), chi la subisce e, più furbo di tutti, chi la interpreta. Facendola talvolta diventare appunto una farsa.


10 commenti:

  1. Sesto Sereno19/9/11 15:52

    Veramente, saggio Apollonio: "Le cose vere, anche le meno rilevanti, come la grammatica, costano tanta fatica".
    La pensa così la Follia nel suo elogio.
    E, dunque, non vale la pena di impugnare la matita rossa è blu "..pur essendovi tante grammatiche quanti grammatici, anzi di più.."
    (è sempre la Follia che parla).
    Ma, allora - qui parlo, molto sommessamente ma altrettanto follemente io - se la grammatica è "cosa vera", quante verità esistono! E "le" è l'articolo giusto per "verità"! C'è sempre da imparare leggendo i giornali.
    Blak

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  2. Bella anche la foto precedente, un Pasolini più tormentato.
    Pasolini come il Golfo del Messico: vittima di una marea nera.

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  3. Apollonio è scaltro e lo è nobilmente, secondo una tradizione siciliana a cui è più vicino di altri. Se ne è certi non appena si metta a frutto la lezione omerica in merito alla scaltrezza, largamente impartita ma poco utilizzata. Odisseo risponde a Polifemo che gli chiede il nome: "Οὖτις ἐμοί γ᾽ ὄνομα· Οὖτιν δέ με κικλήσκουσι
    μήτηρ ἠδὲ πατὴρ ἠδ᾽ ἄλλοι πάντες ἑταῖροι". L'eroe circonfuso di gloria auurea si presenta ad un barbaro come Nessuno, nulla al cospetto d'un nulla. Solo l'amore per i compagni che vuole salvare gli da la forza per infliggersi questa degradazione che è ben più che antroponimica. Infatti, non appena si sente meno in pericolo sulla nave, non sa trattenersi dal gridare al Ciclope la propria identità, pagando duramente, subito e poi. Eppure non viene da rimproverarlo: di più non gli si poteva chiedere.

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  4. Infatti, Apollonio, al cospetto di questi barbari molto minacciosi e pericolosi, paludati senatori della Repubblica delle Lettere o neonazisti che siano, si dichiara solo un "vecchio" studioso di linguistica (disciplina nella quale un cinquantino è appena adolescente) che ha speso la sua vita fra "le grammatiche" di cui è appassionato, quindi è tanto innocuo e bonario da dismettere l'arma che ha al fianco, la matita rosso-blu, e che offre a chi gli divora i compagni perfino il sommo vino che gli donò Marone figlio di Euante. Cosa hai da temere da lui? Bevi e dormi.

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  5. Ricorda il Principe di fronte a Chevalley: noi Siciliani da duemilacinquecento anni portiamo il peso di civiltà non nostre che ci hanno dominato, ora siamo stanchi e svuotati. A chi legga ben desto, lo scaltro velo autodenigratorio non offusca la vista neppure per un attimo: i Siciliani hanno resistito a duemilacinquecento anni di dominio straniero restando Siciliani. Capacità senza eguali. Questo dice il Principe. Pure questo fa: con Tancredi dato ad Angelica, si immette nel gioco di costruzione dei ceti egemoni del nuovo Stato, silenziosamente. Quale peso abbiano avuto i Siciliani nella mente e nel cuore dell'Italia unita dalla fine del sec. XIX e ben oltre l'epoca di Giorgio La Pira, non è defficile appurare. Ecco la tradizione cui Apollonio appartiene.

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  6. Tutto questo qui si può dire, fra i dodici compagni di Odisseo che terrorizzati mormorano nell'antro alla ricerca d'una via di salvezza. Il Ciclope non sentirà e comunque non capirà. Siamo ansiosi d'appuntire il palo d'olivo, di renderlo incandescente e poi d'accecare il barbaro che dorme ubriaco.

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  7. Perdoni Apollonio, attento e focoso Lettore, ma "noi" chi? Lui, vecchio e straniero, soffre d'ansie, sì, ma di ansie diverse.
    Sul "Nessuno" d'Odisseo, belle pagine del (non-siciliano) Riccardo Ambrosini, che (ove non le conoscesse) Apollonio Le consiglia: Riflessioni sull'Odissea, Giardini Editori e Stampatori, Pisa 1991 e Per un'interpretazione dell'Odissea, Edizioni ETS, Pisa 1997.
    Su Fabrizio, Tancredi, Chevalley, che dirLe? Lo sparuto alter ego di Apollonio ci ha perso un po' del suo tempo, con conclusioni meno lusinghiere per il primo (oltre che, ovviamente, per il secondo. Il terzo, un bambino: se ne potrebbe mai dir male?). Insomma, veda Lei.

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  8. Leggo i suggerimenti di lettura da Voi rivolti a uno dei Vostri cinque lettori, Apollonio.
    Ora, usate indulgenza verso la tracotanza ad oltranza di un lettore professionista quale io mi professo, Apollonio, e Vi domando: a che pro libri come questi?

    perchè interpretare l'Odissea - o i Promessi Sposi, la Bibbia, la Commedia etc. - quando è sufficiente leggerli?

    Mettere bene insieme le parole costa così tanta fatica che scordarsi di loro - interpretarle - equivale ad uno sgarbo a chi le scrive.

    Ossequi.

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  9. E se, caro Lettore professionista, i due libri di Ambrosini, malgrado i loro titoli (che pare non Le piacciano), fossero anch'essi dei libri da leggere? Li ha forse già letti, per dichiararli uno sgarbo? Son certo che concorderà generosamente con la modesta idea di Apollonio: come tra i blogger, persino tra i critici capita, raramente ma capita che ce ne sia qualcuno che valga appunto la pena di leggere.

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  10. non ho letto i libri in questione.

    é, questa, questione annosa: interpretare qualcosa contribuisce a dimenticare il qualcosa medesimo;

    a meno che non si tiri in ballo l'assioma del mercato: male o bene, purchè se ne parli;

    non ricordo chi lo disse: il classico è un libro di cui tutti parlano ma che nessuno ha letto;

    è un'estremizzazione, ovviamente: non metto in dubbio che gli autori di quei libri sull'Odissea abbiano mai letto l'Odissea, tanto meno che non lo abbiano fatto i loro lettori;

    il fatto è che ormai trovare un'Odissea senza note e senza interpretazione è, appunto, un'odissea;

    idem per la Commedia o Promessi Sposi;

    ma la mia tracotanza in materia ha origini lontane, dai ricordi - spesso incubi - scolastici;

    è purtroppo costume comune da parte della classe docente quella di far studiare ai ragazzi le note invece che il testo, la sua interpretazione invece che la sua lettura;

    a distanza di anni ho riletto i Promessi Sposi, facendoli finalmente miei;

    il mio disappunto - di principio - nei confronti delle interpretazioni è un atto d'amore e di rispetto nei confronti del testo.

    concludo questa mia dichiarazione d'amore con un riferimento in-topic, un testo di Pasolini, PETROLIO, un testo pensato dal suo autore come anche la sua interpretazione, un'interpretazione fatta testo;

    Ma Pasolini era Pasolini, sempre avanti per i suoi - e per i nostri - tempi.

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