25 settembre 2012

Sommessi commenti sul Moderno (5): "Il mestier de l'arme"

Grave, troppo grave la soma di responsabilità finita, per presunzione di sé, sulle spalle degli esseri umani, perché l'ipocrita delega alle macchine, complice un cieco progresso tecnico, non dilagasse, devastando infine ogni perizia, soprattutto la valutativa: "che spesso par del buono il rio migliore". 
Sintomo della maturazione del processo e sineddoche d'ogni meccanizzazione e d'ogni macchina a venire fu, come si sa, la ghigliottina, che (qui lo si è già detto) tagliava le teste di chi la subiva solo perché aveva già prima reciso (e radicalmente) le teste di chi l'aveva concepita e messa in opera.
Agli umani vigili (non si vuol dire intelligenti), già sul suo sorgere, la vicenda s'era d'altra parte presentata chiara, nelle sue premesse e nei suoi immaginabili sviluppi, com'era apparso chiaro che il dominio sperimentale che meglio si presta al suo apprezzamento, tanto etico quanto teoretico, è quello dell'esercizio della violenza (che poi si sia trattato e si tratti di violenza mascherata o solo differita poco importa).
Ecco, appunto, Ludovico Ariosto, sul principio del Cinquecento, a proposito di macchine che avrebbero poi indirizzato l'umanità verso Hiroshima e oltre: "Come trovasti, o scelerata e brutta / invenzion, mai loco in uman core? / Per te la militar gloria è distrutta, / per te il mestier de l'arme è senza onore; / per te è il valore e la virtù ridutta, / che spesso par del buono il rio migliore: / non più la gagliardia, non più l'ardire / per te può in campo al paragon venire. / Per te son giti ed anderan sotterra / tanti signori e cavallieri tanti, / prima che sia finita questa guerra, / che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti; / che s'io v'ho detto, il detto mio non erra, / che ben fu il più crudele e il più di quanti / mai furo al mondo ingegni empi e maligni, / ch'imaginò sì abominosi ordigni."
"Il mestier de l'arme": dall'ironia amara, sorniona e perciò sublime di Ariosto alla sconsolata, livida e perciò sublime amarezza di Ermanno Olmi:


3 commenti:

  1. A mio modesto e assai parziale avviso, è sublime l'accostamento -- bisbigliato nel sottofondo di questo Suo post -- tra questa tastiera e schermo e hard disk (di cui mi avvalgo per scrivergLiene) e le armature medioevali. Resto tuttavia alquanto sconcertata nell'apprendere che questi nostri fedeli compagni di chiaccherate siano diventati gli arbitri indiscussi nella valutazione di studenti universitari e non, come mi tocca immaginare che sia. Con ciò voglio dire che, pur non essendo del tutto all'oscuro del fatto che il dilagare dei quiz a risposta chiusa in esami d'ogni tipo dovesse considerarsi sintomo incontrovertibile di dette sorti magnifiche e prograssive ormai attestate nel settore, mi confortava comunque ancora il sospetto che la prova orale servisse a compensare e stemperare simile invadenza meccanicistica, al momento di tirare le somme e decidere le sorti del candidato. Ora che il sospetto mi si va trasformando in disillusione sotto gli occhi, la nostalgia per cotta, maglia e visiera (ben abbassata e non metaforica) si fa quanto mai pungente -- oltre che molto meno garbatamente disperata di quella dell'Ariosto.
    Meglio che vada ad armeggiare con pignatte e fornelli, per ora; e che Brancaleone me (ce?) la mandi buona.
    Sua affezionata lettrice,
    Licia.

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  2. Apollonio Discolo28/9/12 15:30

    Il Suo affettuoso punto di vista, odoroso di cucina (il luogo più onorevole delle dimore umane), consola Apollonio, che l'invita però a deporre la disperazione: non c'è opera dello spirito più alta di quella che s'ispira, con la consapevolezza che non c'è mai stato, a un paradiso che è bello ci si figuri perduto.

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  3. Le evocazioni, con le proiezioni strumentali sul versante d'Ariosto e di Olmi ed il fine sentire interpretativo che questo implica, m'appaiono, nella mia pochezza, magistrali, come al solito. Ma vi si dipana un concepire il progresso tecnico 'cieco', quindi in relazione oppositiva con uno che potrebbe esser invece 'consapevole', che mi lascia perplesso. Ne sono sollevato, se mi permette, perchè l'adesione costante e senza eccezioni ad un pensiero sarebbe oltremodo preoccupante.

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