29 novembre 2012

Còlte (fresche?) in libreria

Scusino Apollonio i suoi cinque lettori. Da un po' mancava dai luoghi ed è quasi certo che l'afrore (per dirla con una parola di Caproni) di cui questo frustolo si fa ingenuo annusatore ha già da tempo investito il loro olfatto.
"Al centro di questo romanzo misterioso e potente..." esperisce Apollonio, or sono un paio di giorni, sulla quarta di copertina d'un libro esposto nel solito bazar di un aeroporto nazionale. 
Il tempo di riporre l'opera al suo posto e l'esperienza si arricchisce d'una nuova ricorrenza: "Un romanzo potente, venduto in tutto il mondo, già un fenomeno editoriale in Inghilterra, che racconta una guerra segreta e sconosciuta...". 
Si è frattanto dotato d'un quotidiano: il volo s'approssima e ha da rimediare come può alla contingente e improvvida mancanza d'energia del suo Kindle. Ed eccolo esposto al "Raffinata. Potente. Coraggiosa." che sta in cima a una pagina, mirata per intero alla promozione del volume col quale debutta la solita iniziativa di abbinamento libro-quotidiano.
In potente olezza l'andazzo, conclude. E allontana il suo naso, con moderato disgusto.

28 novembre 2012

Linguistica da strapazzo (8): The Left Periphery

La linguistica ci doveva finire, prima o poi, in una periferia sinistra. 
La metafora può essere una mala pianta che, una volta insediatasi in un'area concettuale, vi cresce incontrollata fino a dare i frutti più perversi. Cresce, la metafora, anche dove ce la si dovrebbe attendere meno, secondo certi epistemologi parrucconi: nel discorso e nell'argomentazione scientifica (o nei sedicenti tali). 
Se Apollonio non ricorda male, un Quintiliano che se ne intendeva (e chissà se consapevole di star imbastendo anche lui una metafora localista) diceva del resto che non c'è parola che, al fondo, non sia metafora.
E con la metafora localista, le teorie sintattiche fiorite nella modernità, prima nella matura, oggi nella putrefatta, ci sono andate giù pesanti, sin dal principio. Mancanza di fantasia? Forse. Kantismo d'accatto? Perché no. Ma perché andare a ficcarsi nel vicolo cieco dello spazio quando, disponibile all'inquadramento e all'analisi dell'espressione umana, c'è, c'è stato sempre, sempre ci sarà lo scorrere o il gorgo del tempo?
Così, ciò che, semplicemente, precede ha finito per essere pensato "a sinistra", ciò che segue "a destra": si badi bene, nella cruda e ipotetica prospettiva, prefigurata come assoluta, di chi guarda. E chi, con tutta la supponente serietà dello scienziato, propone tale prospettiva (e la mima anche coi gesti, quando parla) come fosse, per intrinseca natura, quella propria della lingua non si rende nemmeno più conto di tributare in tal modo un omaggio a un feticcio: la coattiva proiezione della fondamentale oralità della lingua nello scritto: più precisamente in una tra le diverse modalità dello scritto, nelle contingenze culturali d'una civiltà specifica e delle sue specifiche espressioni linguistiche.
Da lì e dalla sottesa e inconsapevole ipoteca ideologica di teorie che (anche con più d'un filo di feroce e involontaria autoironia) si pretendono universaliste, è venuto fuori tutto e di tutto: i movimenti, le tracce, i siti di atterraggio, le salite, le discese, gli scranni vuoti e i pieni, il configurazionale e il non-configurazionale. 
Insomma, da una metafora e quasi solo da una metafora è sortita armata di tutto punto una linguistica che, se è arrivata adesso in periferia (e, tra le discipline che si occupano dell'uomo, in una periferia squallida e sinistra) è forse perché, a forza di passare appunto di ramo in ramo, è andata e sta continuando ad andare raminga e, per falsa o vera etimologia, anche e ineluttabilmente a ramengo.

22 novembre 2012

A frusto a frusto (33)



Si è già ceduto a una prospettiva totalitaria quando si diviene incapaci di sentire come sia sempre una gran fortuna essere sottovalutati dal nemico e, talvolta, anche un gran vantaggio.

21 novembre 2012

Sommessi commenti sul Moderno (6)

Proprio in faccia al Musée d'Orsay sta il Musée national de la Légion d'honneur et des ordres de chevalerie. 
Da un lato, il tempio di un'arte moderna che ha fatto dell'intelligenza una continua provocazione. E c'è anche riuscita, pensa Apollonio, che le è molto affezionato. Dall'altro la parata di simboli di un merito che, tra militarismo e dittature, eterno ancien régime e accademie d'ogni ordine, puzza della più ufficiale stupidità del potere. O profuma, per irriverente contrasto, degli spiriti acuti di Ariosto, Cervantes, Calvino.
Da un lato, innumerevoli aspiranti visitatori fanno una coda più volte contorta, punteggiata da ombrelli variopinti. Dall'altro, non un'anima. L'accesso all'ampio portone è immediato e i portieri quasi ringraziano il raro ospite d'essere apparso.
L'arte ha vinto. Anche nei numeri, ha finalmente vinto l'intelligenza. O no?

20 novembre 2012

Scavare? E perché?

In certe serate solitarie e davanti alla consolazione di una calda bevanda, il suo sparuto alter ego mondano dice ad Apollonio, per passatempo, dei fasti accademici d'oggidì. 
Il racconto si fa allora summa d'altri racconti raccolti dalla voce di colleghi di nazioni diverse. Apollonio ascolta incantato ma non riesce a perdersi, come forse anche lui dovrebbe per far felice il narratore, dietro la fantasmagorica meraviglia dei dettagli: tutti meritevoli della massima cura, della massima attenzione. Cura e attenzione che, appunto, ricevono. Ovunque. Per andazzo globale. E perché "o si fa così o si muore".
Per una delle sue solite associazioni prive di disciplina, quello spirito malnato si rappresenta invece con l'aiuto d'una riassuntiva scena allegorica quanto apprende. Pretende di coglierne così il sistema d'insieme. 
Gli si para allora davanti l'eletta schiera transnazionale impegnata, dove più, dove meno ma sempre in modo parossistico, a scavare la fossa in cui, completata che sia appena l'opera, proprio quell'andazzo globale curerà di piombarla con una piccola spinta, prima di seppellirla viva. E come, tra la folla, si danno da fare gli zelanti, spronando i più pigri a scavare anche loro! Qualcosa, gli zelanti, devono aver capito ma son convinti che la fossa non a loro toccherà, ma agli altri.
Apollonio evita però di mettere a parte di tale immagine incongrua il suo alter ego. Rispetta il suo sonno. Meglio che, bevuto il suo tè, vada a letto, dice lui, incosciente. E sogni, abbracciato al suo Wilhelm von Humboldt di peluche.

13 novembre 2012

Caratteri (11)






Si spregia tanto da non resistere all'impulso di correggere chi, certo sbagliando, capita pure l'apprezzi.

10 novembre 2012

"The best...

is yet to come".  Vuole inquietare?
"Dans ses écrits, un sage Italien / Dit que le mieux est l’ennemi du bien; / Non qu’on ne puisse augmenter en prudence, / En bonté d’âme, en talents, en science; / Cherchons le mieux sur ces chapitres-là ; / Partout ailleurs évitons la chimère". 
Non è de Maistre: ça va sans dire! È Voltaire (La Bégueule). Più liberal di così, da tre secoli in qua, non si può.

9 novembre 2012

Cronache dal demo di Colono (6): Dagli Stati Uniti, nessuna reazione

Dagli Stati Uniti, nessuna reazione. 
Così si può commentare, per rapido riassunto e da Colono, il rito celebrato tre giorni fa in quelle contrade e di cui, per qualche ora, si sono saturate le cronache di tutto il mondo.
E non si può non amare la lingua e (con Leopardi e Calvino) la sua esatta vaghezza, quando ci si rende conto, con un attimo di riflessione, che tale commento, in virtù di reazione, può stare sulla bocca degli uni, a testimoniarne il profondo sconforto ("anche lì, stato ormai comatoso"), o su quella degli altri, a manifestarne il lieto sollievo ("i nemici del progresso non hanno prevalso").
Chi di politica s'intende s'affannerà a dire se più fondato è lo sconforto o il sollievo. 
La lingua, vuol solo annotare Apollonio (la cui testa è come al solito a Citera), riesce sempre a tacere loquace. Forse perché, al pari del buon Dio di cui una volta disse Gustave Flaubert, non si cura né mai s'è curata di dire la sua opinione.

8 novembre 2012

Linguistica

Pare talvolta ad Apollonio che molto del millenario vaneggiare di una disciplina mai matura, quella in cui le sue fatue parole cadono come stille in un mare di insensatezze, alcune pur amate e persino irrinunciabili, rimonti alla presuntuosa credenza che l'uomo abbia la lingua, quando è invece evidente, a chi s'accosti al mistero con modestia e senza pregiudizio, che l'uomo è la lingua.

6 novembre 2012

Linguistica da strapazzo (7): Tutti a Praga

I cinque lettori di Apollonio ricorderanno quel film di De Palma, la deliziosa prima parte del quale fa il verso, naturalmente mutatis mutandis, ad Alfred Hitchcock. Ha per titolo Mission: impossible. La storia che racconta comincia a Praga.
E comincia a Praga - che già a dirlo, come si sa, mette i brividi - la faccenda che turba il buon Nando. O almeno vi ricomincia alla grande nel più maturo momento della linguistica moderna. Lui non può saperlo. Non c'era (più). 
"Produit de l'activité humaine, la langue partage avec cette activité le caractère de finalité. Lorsqu'on analyse le langage comme expression ou comme communication, l'intention du sujet parlant est l'explication qui se présente le plus aisément et qui est la plus naturelle. Aussi doit-on, dans l'analyse linguistique, prendre égard au point de vue de la fonction. De ce point de vue, la langue est un système de moyens d'expression appropriés à un but".
1929. È l'esordio delle Thèses présentées au Premier Congrès des philologues slaves: un monumentale documento della millenaria attenzione che gli esseri umani hanno dedicato alla lingua. E uno scritto che inaugurava un modo nuovo, razionale, scientifico di accostarsi a tale tema. Colmo, e fino all'orlo, fino a traboccarne, della più vieta ideologia. 
Si sarebbe dovuto dire: invece? E perché? La scienza è, per definizione, un punto di vista. Quando smette di sentirsi tale, quando smette di dirlo, e di dirlo apertamente e con onestà a tutti, quando, nel mondo, si spaccia per oggettiva, diventa religione, che sarebbe già non troppo male, una volta fatta la tara del noto corollario sull'oppio. O diventa (e non necessariamente in alternativa) una delle tante furfanterie di cui la storia umana è piena, sotto tutti i cieli e in ogni epoca. E di cui, di conseguenza, si sarebbe sciocchi a lamentarsi. Ma ancora più sciocchi a crederci, però, come oggi si inclina a fare in ogni ambiente.
Il Circolo linguistico praghese contava più di un illustre membro. Ma come si fa a non pensare che il mandante di quelle parole, chiunque le abbia materialmente scritte, non sia stato Roman Jakobson? Lo studioso più geniale che il Novecento abbia regalato alla disciplina.
Possibile? Sì. Perché la genialità, come cosa umana, non sempre (anzi quasi mai) è disgiunta dall'attitudine all'imbroglio. E se poi lo scopo è piacere, se è sedurre, diventa difficile capire dove termina il genio e dove comincia l'imbroglio. Anzi diventa impossibile, perché c'è godimento, talvolta nemmeno troppo sottile, anche nell'essere imbrogliati e nel vedere condurre genialmente al suo buon esito un imbroglio.
E quello imbastito dall'esordio delle Tesi di Praga, non si può dire certo che in linguistica non sia stato un imbroglio fortunato. Fortunatissimo.

"Prodotto dell'attività umana...": ne è sicuro, signor Jakobson? Lei c'era? 
"...ne condivide il carattere di finalità": ma perché? Lo vede, lei, un fine in tale attività, in questa favola insensata raccontata da un idiota e piena di furia e di rumore? 
"...l'intenzione del soggetto parlante...": l'intenzione? L'interpretazione dell'intenzione. Anzi, la divinazione dell'intenzione. O lei legge nel pensiero? 
"...si presenta come la più facile e la più naturale": di conseguenza, a parte tutto il resto, quella di cui maggiormente si dovrebbe diffidare, a tenere presente la ponderata esperienza della scienza, oltre che del diritto, per esempio, e, soprattutto, del buon senso. 
"...considerare il punto di vista della funzione": cosa intende con funzione? Me lo spiega con chiarezza? La lingua è come un ombrello? Ce l'ho perché mi serve? Me la son fatta a mia immagine e somiglianza? E come succede allora che io non capisco, non capisco ancora, forse non capirò mai come funziona? Ho detto funziona? Che ha da spartire questo funziona con la sua funzione? Lo so: lei sa bene che non sono la stessa cosa. Non è come quegli sciocchi dei suoi finti epigoni. Ma perché allora non me lo dice? Perché mi tratta da scemo? 
"...sistema di mezzi di espressione appropriati a uno scopo": sì, sistema. Ma mezzi? E di nuovo, scopo? Scopo, mi dice appunto il sistema, è sempre lo scopo di qualcuno e se è di qualcosa, è del qualcuno che ha concepito quel qualcosa. Nando è cretino ma, come capita ai cretini (e più spesso di quanto non sembri), ha ragione. Che mi sta dicendo, allora, signor Jakobson? Non sta per caso approfittando lestamente del fatto che la lingua, coi nomi, permette di fare credere autonoma l'esistenza di cose, come uno scopo, che esistono solo in funzione d'una relazione con un soggetto? Lo so: lei e Husserl vi davate del tu, ma, appunto, mi dice chi è allora il soggetto del suo scopo? Senza, e se non mi spiega che diavolo gli passa per il capo, a quel soggetto, qui, della lingua, si rischia di non capire proprio nulla, facendo sembiante per giunta di capire tutto. Si rende conto del guaio in cui sta mettendo la sua disciplina?
Insomma, bella storia. E ben raccontata, la sua: signor Jakobson. Sa chi mi par di intravedere dietro la sua figura e dietro il modo con cui lei immagina la linguistica? Mi pare di intravedere quel famoso barone che diceva d'essersi salvato dalle sabbie mobili in cui gli era capitato di cadere prendendosi per i capelli e così sollevandosi. Conosce, no? 
D'altra parte, la capisco. Il successo è il successo. E detta come lei l'ha detta, la faccenda della lingua risulta consolante, per la mia e per tutte le altre comparabili nullità che vanno in giro. Lei lo sa, come le nullità si finirà per intenderla. Si finirà per intenderla in un modo che mette me, come ciascuno, al centro del mondo, o almeno del mondo della lingua. Che illude me, come ciascuno, di sapere cosa faccio quando lo faccio. Che dice a me, come a ciascuno: guarda dentro te stesso cosa vuoi, dove vuoi andare, capirai ciò che fai. E se non sai cosa vuoi, perché capita, fai finta di saperlo: la spiegazione di ciò che fai funziona comunque. Funziona sempre. Funziona anche con gli altri: basta che tu immagini quale sia il loro scopo (magari convincendoli che il loro scopo era quello che tu hai immaginato) e il gioco sarà fatto. Il giocattolo è meraviglioso. Vuole che non si sia tutti d'accordo nell'adoperarlo? A lei, del resto, che è un genio, dell'altrui nullità e del modo cretino con cui si adopererà quel giocattolo, signor Jakobson, cosa importa?

Jakobson era appunto un genio e, come dimostra la sua sterminata e illuminante attività di ricerca, sapeva imbastire magnifiche fole. E rivelatrici, appunto, di quel sistema: forse ben al di là dei suoi scopi da genio, ammesso che ci sia dato di immaginarli, gli scopi della sua espressione. Sarebbe forse il caso, tuttavia, che chi non è un genio si astenesse dal riproporre ancora e come proprie (o, peggio, come vere) simili fole, a proposito dell'espressione umana (e non solo dell'umana). Grazie, Nando.

Ah! Apollonio quasi se ne scordava e, del resto, ne è a ogni modo consapevole. A Praga, Mission: impossible:

5 novembre 2012

Dall'ultimo banco, il buon Nando (3)

Riappare il buon Nando. Ne hanno memoria i cinque lettori di Apollonio? Sì, proprio lui: lo scolaro, per dir così, meno brillante della classe. La natura non l'ha destinato alle scuole di eccellenza. A dire il vero, nemmeno la società. E ciò, francamente e considerato il suo delizioso candore, non potrà essere considerata la peggiore delle sue disgrazie.
Qualche giorno fa, il buon Nando chiama Apollonio. Non riesce ad andare oltre, gli dice, le prime pagine del libro, uno qualsiasi, a esser precisi, che gli han dato da leggere per preparare l'esame di linguistica. Da cui, scemo com'è, pensa subito Apollonio, certamente uscirà ancora una volta bocciato.
Quelle pagine, non le capisce, protesta Nando al telefono. E se non le capisce, come fa ad andare avanti? Gli compita un passaggio, lui pretende, cruciale: "...il linguaggio è la facoltà di associare il contenuto all'espressione allo scopo di manifestarlo". Ripete: "...allo scopo di manifestarlo... E che ne so io dell'intenzione di...?" E qui si ferma. 
Dall'auricolare, Apollonio quasi sente le poche e arrugginite rotelle del cervello di Nando che, muovendosi a fatica, stridono: un gemito che invoca pietà. "...di... ...di... E di chi? Guarda: - a quel punto la sua voce è un fiato flebile - di chi sia lo scopo non c'è scritto, nel libro. Come faccio allora a saperlo? M'ero immaginato di poterlo chiedere: 'Scusi, la sento parlare, perdoni l'impudenza, lo so che son fatti suoi, ma lei, il suo contenuto, quando lo associa all'espressione, lo fa con lo scopo di manifestarlo? È proprio sicuro? Non è che per caso, associandolo, lei voglia fare altro? Sa, se ne sentono tante in giro, di gente che, con gli scopi più turpi, capita associ i suoi contenuti alle espressioni contro natura, persino, si figuri, per celarli...'".
"Ma dai! Smettila, Nando" gli ha risposto Apollonio, infastidito "Sei proprio scemo. M'hai letto meno di una riga. Vedrai che, andando avanti, te lo si dice di chi è lo scopo e così, volendo, saprai a chi chiedere. E poi, quando mai s'è visto che bisogna andare in giro a verificare se risponde a verità ciò che scrivono i manuali universitari delle discipline morali... Fattene una ragione. Se c'è scritto che lo scopo è di manifestarlo, il contenuto, quando lo si associa all'espressione, sarà così. Chi scrive i libri, di linguistica poi, sa bene ciò che fa. Impara a ripetere quanto c'è scritto e basta: vedrai che stavolta ce la fai a passare l'esame".
"Ma qui, proprio sotto, oltre che di un 'figlio maschio del fratello del padre di X', che io proprio non conosco (anzi, me lo presenti, se lo conosci tu?) e che, dicono, sarebbe un contenuto (a me, a dire il vero, pare anche un'espressione), a parte un tale sconosciuto, ti dicevo, non si parla che di api. Che dici? Cosa mi consigli? Provo a prenderne una e, sotto minaccia di non lasciarla andar via, la interrogo? Magari me lo confesserà, qual è il suo scopo: 'Ebbene sì, al contrario delle mie compagne che lo fanno per scopi che la decenza mi impedisce anche solo di evocare, io sono un'ape perbene e danzo al ben costumato fine di manifestarlo, il mio contenuto'..."     
Apollonio, sconsolato, interrompe a quel punto la comunicazione: con Nando, e con la sua espressione da bestia, non riesce mai ad avere la meglio.

4 novembre 2012

Linguistica da strapazzo (6): Scopi bestiali

Concedere ad altre specie viventi capacità comunicative teleonomicamente ordinate, dopo averne ipotizzata una, e fondamentale, per la specie umana, capacità meritevoli inoltre di essere indagate, passa già per gran segno di apertura mentale della scienza. Umana.
Ad Apollonio non pare segno di apertura. Gli pare al contrario segno di grettezza: tratto caratteristico della specie, a giudicare dagli esponenti (lui medesimo incluso, ovviamente) che gli è capitato fin qui di esperire.
Se non ci fosse grettezza, non di capacità (e attività) comunicative si parlerebbe per altri esseri viventi ma di capacità (e attività) espressive. Sarebbe un'ipotesi almeno meglio rispettosa: rispettosa anche, se non soprattutto degli esseri umani medesimi, qui s'intende. 
Se non ci fosse grettezza, disumanandosi nei limiti del possibile, di tali capacità e delle connesse attività si cercherebbero le pertinenze. 
Forse c'è solo il caos. Forse nemmeno il caos c'è. L'ipotesi, relativa a tali possibilità e che non le esclude, mettendole come si può solo alla prova, è che però il vivente (solo il vivente?), esprimendosi, visto che pare lo faccia, lo faccia secondo sistema: per relazioni; per differenze. 
Scopo di tale sistema? Altrettanto misterioso e insondabile della sua eventuale causa. Che tanfo d'umano sale d'altra parte da simili categorie, che non smettono di spesseggiare nelle cosiddette scienze umane e oggi sempre più (per via del connubio di un neuro- e di un bio-) lo fanno ridicolmente anche altrove. Causa? Scopo? Per favore, si aprano le finestre!  
Solo uno spirito gretto può allora pensare, a conferma del pre-giudizio di esseri ritenuti in ogni caso inferiori, che tali pertinenze siano dettate dagli scopi comunicativi, comunque tali scopi siano concepiti. Solo uno spirito gretto può del resto condursi a vedere nella lingua e in ogni altra forma il vivente si esprima un affare di scopi. 
Scopi che sono peraltro solo quelli che una limitata fantasia concede di immaginare a chi li concepisce e, con la pretesa di averne così capito l'ipotetica espressione, li attribuisce ad altri: bestie incluse e perciò equiparate agli sciocchi esseri umani, senza certo averlo mai meritato né autorizzato.

3 novembre 2012

Linguistica da strapazzo (5): Supplemento al panino

Agli o alle amanti del genere e a quelli e quelle che, come Edipo prima di farsi edotto di se medesimo, danno credito a ciò che l'occhio esteriore concede loro di vedere, magari interesserà osservare che non solo Due birre da solo è grigio ma anche, e il più delle volte, è salutare, santo e benedetto. Rosso o blu, signora maestra? Faccio bene o faccio male, esimio accademico? 
Sì: Due birre da solo è salutare, santo e benedetto. Lo è forse meno di due passi in montagna, due bracciate fino alla boa o trenta pagine di Musil ma incomparabilmente più di due occhi maliziosi o di cento, mille, un milione di mani plaudenti
Infatti, Due occhi maliziosi è pernicioso, soprattutto se sono occhi incoscienti di essere falsi, e Un milione di mani plaudenti è vano, senza che per questo si faccia sembiante di non capire che può essere molto, molto comodo e che quindi, finché l'onda tiene a galla, è oltremodo fortunato.  
Insomma, come ad Apollonio, nella sua giovinezza, diceva un dolente e macerato più anziano amico, nella lingua, nelle lingue, categorie d'ogni sorta (e quindi nomi, verbi, e numeri, generi, persone) hanno sì fenotipi, ma come effetti di relazioni con "criptotipi". 
I primi (per es. maschile e femminile o singolare e plurale) ingannevolmente evidenti (ed evidentemente ingannevoli), aggiunge oggi Apollonio in virtù della sua piccola esperienza. I secondi (né maschile né femminile: neutro? Né singolare né plurale) da scoprire, con la rigorosa fantasia imposta da un sistema di differenze e di combinazioni: come, nel caso specifico, dice il circuito della concordanza, quale dato (si osservi) negativo. 
E non si tratta dell'approssimazione di continua ma di discrete marcatezze, in cui si è o non si è; meglio e più sovente, si appare o non si appare. Ne sortisce un maschile, un singolare solo paradossalmente fenomenici. Che si manifestano come tali solo proprio in quanto né il maschile né il singolare sono positivamente pertinenti, perché è la predicazione che soggiace a quei nomi a valere come determinatrice di accordo e non, coi loro tratti di numero e di genere, i nomi medesimi, superficiali vestigia della predicazione.
Ecco presentato, per rapidi tratti e sotto le futili forme di Due birre da solo è grigio e di Due occhi maliziosi è pernicioso, lo sciocco e ancora più futile tentativo di capirsi. Di un Apollonio, evidentemente, mezzo ubriaco. Ubriaco del tutto, dirà chi lo legge.