30 marzo 2013

Farse in due battute (12)



- Muoio...
- Mi dia ascolto: solo se non può farne a meno. Altrimenti, rimandi. Non è proprio il momento.

29 marzo 2013

Libertino, detto Tino, Faussone


È preziosa perla di onomastica letteraria. Si chiama così il protagonista della Chiave a stella di Primo Levi: montatore di storie, oltre che di tralicci, di ponti sospesi e di altre avventurose diavolerie dell'ingegno umano. 
Per le vie velatamente trasparenti di allusione ed etimologia, in tale nome risuona la congiunta menzione di falsità e libertà. Sono valori d'ogni artificio, ivi compreso naturalmente il narrativo. Forse quelli che gli sono più intrinseci. Falsità e libertà: umane. E ambedue incoercibili, ambedue irriverenti, ambedue spalancate sopra usi probi o depravati, ambedue poste, quasi a forzarlo, sul limite della tragicomica finitezza che fa da stoffa della condizione umana. 
L'opera di Levi fa sì la lode dell'operosità, come fu facilmente detto sin dal suo apparire. A partire dal nome proprio del suo protagonista, ammonisce però sulla perenne opinabilità etica di tale operosità e sulla sua continua falsificabilità teoretica. Lo fa senza pedantesca iattanza o moralistica condanna ma con l'aperta simpatia che ispira un uomo, sempre che questo lo sia, almeno libero d'esser falso nella sua forse falsa libertà.


27 marzo 2013

Sommessi commenti sul Moderno (8)

Non la serena e antichissima (se non ancestrale) consapevolezza umana di un incessante divenire ma una sua ideologizzazione è tratto pertinente del Moderno e, forse, fattore determinante della sua putrefazione. Così, ogni moderno cantore del cambiamento ne è in realtà più un astratto ideologo che un saggio esperiente, quando non si tratti (e non è caso raro né esclusivo) di un saccheggiatore della memoria (cioè della cosa più sacra, proprio in funzione dell'esperienza del mutamento) che veste di impersonali pretesti la personale miseria dei propri atti: "Sto devastando un'antica e valorosa bellezza, sì. Ma come diversamente? Non vedi? Tutto sta cambiando".

22 marzo 2013

Linguistica da strapazzo (15): Prestidigitazione

"Col suo visuccio di povero nato per soffrire, per essere sempre messo da parte o picchiato o sfruttato, Mosè mi accarezzava la mano e si rallegrava per me...": di chi è la mano? Che sciocca domanda! Ovviamente è la mano di chi, per parlare di sé in questo passo, dice mi: 'la mia mano'.
"Alba, che mi dava la mano, assistette alla cerimonia funebre. Vide la bara calare nella terra, nel posto provvisorio che avevamo ottenuto...": e qui, di chi è la mano? Domanda ancora più sciocca. Non è la mano  di chi dice mi. È la mano di Alba.
"...mi accarezzava la mano...", "...mi dava la mano...": un pronome di prima persona, una forma verbale e il nesso nominale la mano. E la mano, come per incanto, cambia proprietario.
Esplicitamente e irrevocabilmente: nessuno pensa che nel primo caso la mano sia di Mosè; nessuno pensa che nel secondo non sia di Alba.
Ma una cosa tanto chiara e sulla quale nessuno si sbaglierebbe, dov'è formalmente detta? Accarezzava lascia che tra mi e la mano ci sia una relazione, che dava, invece, recide implacabile, collegando la mano col suo soggetto. I fili ci sono. Ci si inciampa. Solo che sono invisibili.
"E in quelle condizioni venne a cercarmi e mi trovò. lo giacevo nel letto stordita dal male, dalle medicine, e sognavo che qualcuno mi accarezzava una mano...". Chi possiede qui una mano è di nuovo chi dice mi: 'una delle mie mani'.
"...mi accarezzava la mano...", "...mi accarezzava una mano..." sono diverse, certo. Si tratta tuttavia d'una diversità trascurabile. Anche nel primo caso la mano è solo 'una delle mie mani', se chi lo dice (ed è il caso banale) ne possiede più d'una. La determinazione di la mano, come la non-determinazione di una mano, gioca il ruolo, in tali contesti, di variante libera, determinata, eventualmente, solo dal gusto.
L'alternanza dell'articolo non è sempre però una trascurabile variante. Si metta a confronto il "mi dava la mano" di poco sopra con "Fernanda ci aiutava come poteva. Era la prima volta che una donna mi dava una mano per un'impresa alpinistica e questo complicò in un certo senso le cose...". Qui (ed è un bel paradosso) la mano, come referente dell'espressione linguistica, è letteralmente scomparsa. Nel valore corrente dell'espressione dare una mano (che è idiomatica), di mano, a ben vedere, proprio non si tratta. A mano, nel contesto che comporta il verbo dare, basta così cambiare l'articolo per farla diventare un fantasma.
La mano è la mia, la mano non è la mia; la mano c'è, la mano non c'è più. Stupidi giochi di prestigio permessi da una cosa lampante, a viverla, e problematica (se non misteriosa), quando si cerca di capirla e di metterla in chiaro a se stessi e agli altri: la ratio della lingua. Nel caso specifico, sotto forma di lessico-sintassi.

11 marzo 2013

Linguistica da strapazzo (14): Conformità della lingua

Non c'è lingua possibile senza conformità né conformità possibile senza lingua, come ben sapeva Ferdinand de Saussure: "La guerre, je vous dis, la guerre!". Già nel necessario rapporto che chi parla instaura con se stesso, la lingua è conforme: non si istituisce per sé, infatti, ma per relazione. Tende a essere conforme, di conseguenza, negli usi sociali più espliciti. 
Conformità non è conformismo, però, e l'acutissimo Barthes mostra forse di non cogliere la differenza quando addita la lingua come "fascista", in una celebre pagina. 
O fa finta di non coglierla per desiderio di spararla grossa e per comprensibile insofferenza verso gli eterni benpensanti: comprensibile ma non ragionevole, visto che non c'è clima nel quale il benpensante non cresca e non si riproduca. Così è accaduto anche sotto le condizioni che Barthes, imponendole alla discussione con quella sortita, s'illudeva fossero definitivamente inospitali al suo sviluppo. E invece...
Meglio allora, con modestia e senza volere scandalizzare nessuno, provare a tenere distinti conformità e conformismo. Conforme per via di relazione, la lingua non è fascista. Può diventarlo in ogni momento, però, se qualcuno s'impadronisce per un po' (per sempre, è impossibile) della sua necessaria conformità per coltivarci dentro la mala pianta del proprio conformismo.
Quanto al piccolo e, grazie al Cielo, innocente orto della linguistica, ciò significa che è meglio stare sempre vigili soprattutto con se stessi, quando si maneggiano, a scopi argomentativi, nozioni critiche come semanticamente accettabile e non-accettabile, pragmaticamente felice o non-felice. Altrimenti si finisce (e quanto sia inquietante, c'è appena bisogno di ricordarlo) per applicare una stella sull'abito di espressioni che hanno solo la colpa di essere inusuali se non d'essere semplicemente ritenute per mero conformismo pericolosa e perturbante minoranza.

A frusto a frusto (52)





Non c'è scampo all'impietosa immagine speculare che ti para davanti la reazione di un cretino.

10 marzo 2013

Numeri (5): Passati i quaranta...



Scomparsa, la mezza età. Come le mezze stagioni.

Linguistica da strapazzo (13): "Noi"



Il noi è cultura allo stato di natura. Il noi è l'eterna, calda, infida, inestricabile, umida giungla umana in cui, mosso pure che sia dalle migliori intenzioni, s'aggira l'io predatore per nutrirsi, insaziabile, o per far strame, crudele, d'ogni io, fosse anche se stesso, gli capiti a tiro.   

9 marzo 2013

A frusto a frusto (51)





E il mondo tocca un livello di falsità altrettanto inquietante quando è fin troppo facile la ricerca di autentici farabutti.

A frusto a frusto (50)





Il mondo tocca un livello inquietante di falsità quando diventa ardua persino la ricerca d'un farabutto autentico.

Caratteri (13)...

o Sommessi commenti sul Moderno (8)



Rifiutandosi di riconoscerne l'essenziale tragedia, della vita non coglie la connaturata comicità: i suoi pensieri galleggiano così, capricciosi, nella fangosa pozzanghera d'una falsa e stucchevole elegia.

8 marzo 2013

Linguistica da strapazzo (12): "Difficiles nugae"

Si è sempre controllato con attenzione e Si è sempre controllati con attenzione sono un'esemplare coppia minima sintattica. Basta commutare la -o con la -i per provocare una catastrofe interpretativa (che è ovviamente effetto d'una catastrofe sintattica) e per passare, quanto a diatesi, dall'attivo al passivo o, forse meglio, dal non-passivo al passivo (non si irrita così l'alter ego secolare di Apollonio, che, come sanno gli intimi, ha la fisima del medio). E per scivolare, quanto ai tempi verbali, dal passato prossimo al presente. Pare poco, per un cambio di vocale?
Il valore impersonale resta costante nelle due proposizioni e, con esso, quel 'noi' funzionale che occhieggia sovente, se non sempre, dietro un impersonale formale. Nel caso del participio terminante in -o, però, è il soggetto (non-specificato) ad aver controllato: "Carne equina nel ragù? Impossibile! Nella nostra ditta si è sempre controllato con attenzione". Nel caso del participio terminante per -i, è il soggetto (sempre non-specificato) a essere controllato: "Mi raccomando, niente liquidi o altre diavolerie nel bagaglio a mano. A Kloten si è sempre controllati con attenzione".
Càpita poi, a ben vedere, che la terminazione in -i, mantenendo costante, quanto al numero, il valore di un arbitrario plurale, possa essere, come maschile, non-marcata quanto al genere: si sa, è questa un'ingiustizia forse riparabile nel lessico ma certo insanabile in morfosintassi. O essere maschile a tutti gli effetti, se posta in opposizione con una possibile -e. "Al concorso di Miss Italia, si è sempre controllate con attenzione" potrebbero magari dire le candidate reginette, servendosi di un impersonale passivo in cui il soggetto non-specificato è ovviamente di genere femminile.
In funzione di numero e genere, non va allo stesso modo con controllato e la sua -o. Anche se può sembrarlo, controllato non è singolare né maschile, come non lo sono parlatosmesso in Si è parlato a lungo di trasformazioni, in proposito, poi d'improvviso si è smesso.
Tra gli apparecchi descrittivi disponibili sul mercato grammaticale, a conoscenza di Apollonio, solo uno, messo di fronte a una minuzia come questa, riesce a trattarla e a trattarne la differenza con accettabile eleganza e a inserirla nel leggero quadro sistematico di evidenti regolarità. Gli altri la ignorano o s'appellano, balbettando metafore di movimenti e simili, a cigolanti ordigni concettuali. O forse pare così ad Apollonio, che è appunto un linguista da strapazzo.   

5 marzo 2013

A frusto a frusto (48)




Che noia, che tristezza e, soprattutto, che volgarità è allegare cause o scopi alle proprie sciocchezze.

3 marzo 2013

Farse in due battute (11)*





"Guardi... Lei non mi deve delle scuse..."
"Ma mi ha preso alla lettera? Suvvia! Era solo per dire."

* [Non-fiction]


2 marzo 2013

A frusto a frusto (47)


Ironica e impersonale compassione dell'umano destino: l'infelice che vince paga sempre la sua vittoria con la cecità. Non vede così quanto l'infelice che perde, nella dolce sospensione che s'accompagna al quieto abbandono della disfatta, ne compianga le future, ineluttabili e certo più crude pene. 

1 marzo 2013

Numeri (4): Bibliografie





Un elenco di riferimenti bibliografici capita si gonfi proporzionalmente alla brama che nessuno, sul tema, possa esibirne uno più turgido.

Caratteri (12)




Come esaltatore di disgusto, nel dubbio non ne susciti già a sufficienza, sfoggia appena può un affettato rispetto delle forme.

Sommessi commenti sul Moderno (7)




Lo si sa per sempre rinnovata prova: alle idee di libertà, di eguaglianza, di rispetto è precluso il buon fine. In un sorridente silenzio interiore, tocca perciò tenerle per sacre e, forse, ineffabili. E, come si fa con l'amore, porle al riparo almeno lì dagli esiti spregevoli di cui, al pari appunto dell'amore, capita siano regolarmente fatte pretesto. 

A frusto a frusto (46)




Per chi s'interroga sulla misura di ciò che fa, la riprovazione d'un cretino è rassicurante quanto inquietante è l'approvazione d'un ipocrita.