18 aprile 2015

A frusto a frusto (91)


Poi viene il momento in cui intuisci, sorridendo, che puoi pure smettere di cercare, perché sono tutte regole, sovente arcignamente normative e solo qual più, qual meno malamente camuffata da eccezione.

15 aprile 2015

Linguistica da strapazzo (38): La lacuna e lo stracolmo

"Io sono innamorato della parola «lacuna»": si apre proprio così un libro recente il cui titolo suona Lacuna e il sottotitolo Saggio sul non detto. È stato segnalato come meritevole d'attenzione da chi se ne intende ad Apollonio, che lo sfoglia con interesse e desiderio di apprendere.  
Lacuna accorda dunque l'onore dell'esordio a un pronome personale: io. L'enfasi è accresciuta dalla circostanza che vede l'italiano accreditare un valore di marcatezza alla ricorrenza esplicita di un pronome personale con funzione di soggetto. Di norma e in un'espressione pacata, infatti, esso è taciuto.
Lacuna si apre insomma con ciò che avrebbe facilmente potuto non essere detto e invece lo è stato. Con ciò che non è nemmeno il contrario d'una lacuna ma la sua contraddizione: un riempimento in sospetto di eccesso che tracima per evidente assenza di un troppopieno, di uno scolmatore.
Un esordio del genere è forse illustrazione esemplare di un horror vacui a carattere selettivo e paradossale rispetto a quanto esso dichiara: ne sortisce l'immagine d'un amore per la lacuna che pratica lo stracolmo, di una verbosa dedizione al non detto.

9 aprile 2015

Nobiltà della filologia, miseria del filologo

Trascurando, come forse non si dovrebbe, la varietà antropologica e restando a ciò che un tempo era detta prospettiva eurocentrica (ormai diluitasi, se non ulteriormente degeneratasi, nella cosiddetta globale), va quantomeno osservato che solo con la filologia e solo da qualche secolo, storia ha preso il radicale valore di chiave d'interpretazione di una vicenda umana che ha, tra i suoi tratti caratterizzanti, un'incessante mutevolezza.
Altre ce ne furono, ce ne sono, ce ne saranno.
Eppure ci sono filologi (forse perché oggi sempre più sparuti campioni di una prospettiva sparente) che ne paiono inconsapevoli: né Apollonio, si badi bene, si chiama fuori del novero (naturalmente nelle fila dei meno valenti, per servirsi d'una eufemistica litote, e dei dubbiosi).
E, tra i filologi, ci sono linguisti che si dicono storici e che tutto sarebbero disposti a storicizzare, tranne se medesimi, i propri metodi e le proprie idee.
Credono, costoro, la loro specie, una volta apparsa sulla faccia della terra, destinata a restarvi per sempre. La credono fuori di quella storia che pure invocano come paradigma interpretativo di un incessante mutare. E fanno della loro disciplina una religione (e se non ci fosse altro modo di pensarla?).
La giudicano capace e si giudicano loro medesimi capaci di una parola valida come verità eterna. Non destinata quindi, con i principi e i metodi cui tale parola fa appello, a fare figura un giorno (forse non troppo lontano, forse già il presente) di comica fola.  

8 aprile 2015

Scherza coi santi... (7): Platone, all'orecchio di Dionisio

"In questo modo esposi a Dionisio tutto quello che allora gli dissi. Non gli spiegai tutto, né del resto Dionisio mi pregò di farlo, perché egli pretendeva di conoscere molte e le più alte dottrine e di averne una sufficiente padronanza per quello che aveva sentito dagli altri. Più tardi, così mi fu detto, egli stese anche uno scritto su ciò che aveva sentito da me, presentandolo però come un suo proprio trattato e non come frutto di quegli insegnamenti che aveva avuto da me; di questo però io non so niente. So invece che altri hanno scritto su questi argomenti, ma chi essi siano, neppur essi lo sanno...": nella traduzione di Antonio Carlini, è un passo della (intollerabile?) settima Lettera di Platone. Ma di Platone? Se ne è dubitato. Poi s'è smesso di dubitarne. Un giorno, magari, se ne dubiterà di nuovo.
Che importa, del resto? Vera è la cosa che dice. E racconta una storia che, fuori del tratto soggettivo (e intollerabile; o tollerabile solo perché il soggetto è forse Platone), è certamente già accaduta mille volte, perché accade ogni giorno e continuerà a farlo. C'è una parola e c'è un orecchio.
"Su ciò non esiste, né mai ci sarà, alcun mio trattato; perché questa disciplina non è assolutamente, come le altre, comunicabile, ma dopo molte discussioni su questi problemi e dopo una lunga convivenza, improvvisamente, come luce che si accende da una scintilla, essa nasce nell'anima e nutre ormai se stessa". 
La viva parola nella convivenza: relazione nella differenza, inattingibile allo scritto. Ancora meno all'ufficiale, a quello che porta sulla copertina un titolo e un nome proprio, che è sovente la sola cosa propria che può vantare chi l'ha steso. E si gloria, in realtà, solo d'una trascrizione ad orecchio.
Ciò che dice la settima Lettera è autentico, insomma: come parola, è vera. Che, in quanto parola vera, sia del Platone autentico serve eventualmente a far sì che essa non paia, come è, una verità socialmente intollerabile: oggi, ancora più di ieri. Per il resto, è irrilevante.