28 novembre 2018

La più bella del mondo

Prima dei contenuti, c'è il packaging, pardon! la confezione e la presentazione del prodotto, che specifica il target, pardon! la fascia dei potenziali acquirenti, la clientela cui il prodotto è indirizzato, qualificandosi come prodotto e qualificando tale clientela, correlativamente. 
Il nome del prodotto (La più bella del mondo) ha grande rilievo, in proposito. Per un opportuno confronto e un chiarimento si rimanda al videoclip, pardon! alla breve registrazione audiovisiva posta in fondo a questo post, pardon! messaggio o, come usa scrivere Apollonio, frustolo. 
La coincidenza non è certo sfuggita al settore marketing, pardon! al settore di scelta e di programmazione delle strategie commerciali dell'azienda produttrice. È anzi possibile essa l'abbia perseguita, per il suo carattere altamente sentimentale. Tale carattere è nella temperie molto gradito a un'ampia platea di fruitrici e di fruitori di prodotti simili. Costoro sono in effetti alla ricerca di un'identificazione morale, soddisfatta e realizzata già nel momento di un acquisto che prelude alla (solo eventuale) lettura. In tale consorzio, si tratta del resto di un luogo comune, il cui specifico contenuto sfugge a qualsiasi ragionevole verifica e si può dire consista, in realtà, nella semplice enunciazione, con valore euforico e di compattamento del gruppo delle e dei credenti, spesso al proposito ideologicamente zelanti.
Ha una decisa caratterizzazione sentimentale e conativa o di conferma anche il pay off, pardon! la parte finale del messaggio convogliato (Perché amare la lingua italiana). Oltre a insistere sopra un tema nazionale, al momento molto caldo e, da diverse angolature, anche politiche, presente nei media, pardon! nei mezzi di comunicazione e di informazione, dal punto di vista pratico essa è destinata a consentire una più facile memorizzazione del prodotto designato e a inserirlo, senza equivoci, in uno specifico (sotto)settore merceologico. 
Insomma, un ottimo lavoro.


18 novembre 2018

Sommessi commenti sul Moderno (25): Liquido, come cosa? Flaubert, a chiarimento di Bauman


Gustave Flaubert - è noto - non fu tenero con il suo tempo né, in genere, con l'umanità. Del resto, fra i tratti caratteristici della modernità c'è il paradosso d'essere considerata spregevole in essenza dai suoi massimi campioni. Come se, a differenza di quella di altre epoche meno contraddittorie, l'intelligenza moderna, dopo i suoi primi gloriosi fasti (Galileo, Diderot e pochi altri), non abbia mai potuto esercitarsi nel suo valore meta-storico di sostantivo senza spregiare l'attributo con cui la storia, invidiosa e quasi a rivalersene, le ha imposto di accompagnarsi da tre, quattro secoli. 
A Flaubert l'intelligenza del suo secolo e degli esseri umani non faceva certo difetto e lo scrittore fu ed è appunto esemplare, come moderno. In una lettera all'amico Louis Bouilhet datata 14 novembre 1850 e spedita da Costantinopoli (una delle tappe del suo celebre viaggio in Oriente), egli scrisse: "De temps à autre, dans les villes, j'ouvre un journal. Il me semble que nous allons rondement. Nous dansons non pas sur un volcan, mais sur la planche d'une latrine qui m'a l'air passablement pourrie. La société prochainement ira se noyer dans la merde de dix-neuf siècles, et l'on gueulera raide".  
Or sono diversi decenni, queste parole passarono sotto gli occhi di Apollonio, cui è capitato di vivere più di un secolo dopo la loro lucida previsione. Da quel momento, gli fu chiara la ragione del persistente fetore che offendeva e sempre più offende le sue narici (certamente non solo le sue) e che conta tra le moderne pene di un vivere che vanamente tenta d'essere inodore, se non profumato. 
Qualcuno, come per esempio Primo Levi, l'ha messo in chiaro ma la piena consapevolezza è ben lungi dall'essersi generalizzata (del resto, generalizzarsi forse non potrà mai): il putrido asse della latrina sul quale Flaubert vedeva già danzare il suo secolo si è frattanto rotto. E se l'epoca che è conseguentemente precipitata nella merda non vi è annegata, come lo scrittore francese preconizzava, forse per ottimismo, è solo perché, assuefattasi rapidamente, ha appreso a nuotare in tale habitat che, come qualche decennio fa ha acutamente osservato Zigmunt Bauman, offre a chi vi sguazza il vantaggio di diventare diarroicamente sempre più liquido.

17 novembre 2018

Intolleranze (10): La voce in maschera

Questo diario esiste da quasi tredici anni e, si pensi, si è appena alla decima dichiarazione di un'intolleranza. Apollonio osa farne vanto di temperanza, in tempi come questi e come gli appena attraversati. "Non si può sentire" vi è stata e vi è espressione comune tra i molti che si pretendono censori ed è formula che (a proposito di modalità) non si vorrebbe mai più e invece capita si debba frequentemente sentire.
Come, fuori degli esercizi canori e nel normale eloquio, capita di trovarsi spesso esposti a voci in maschera. Il fenomeno dilaga nel discorso pubblico (ivi compreso il didattico e lo scientifico - o il presunto tale). Dilaga anche, e forse più drammaticamente, nel discorso privato. 
Senza riguardo alle inclinazioni sessuali e alle determinazioni di genere, a una voce nasale ricorrono oggi in percentuali alte ed equamente distribuite donne e uomini. Mirano ad avere un'attitudine vocale al tempo stesso neutra e abbigliata. Non la propria, dunque, ma una, letteralmente, non-propria o impropria. Anni fa, Apollonio ipotizzò che la ragione del fenomeno fosse da individuare nella ricerca di un camuffamento, anzitutto riflessivo: "Non è la mia voce", dice, complice, l'ipocrita orecchio e lascia passare dosi eventualmente maggiori di falsità, autorizzando un tasso più alto di spudoratezza. 
Chi dice di proferire verità o motti sensati e lo fa con una voce in maschera è così da tenere in sospetto. La parola autentica viaggia difficilmente sopra una voce falsa o, per dirla in maniera diversa, la falsità di una voce percola in ciò che essa articola e lo intride irrimediabilmente.