15 giugno 2019

Linguistica candida (50): Termini grammaticali

Da secoli, se non da millenni, un discorso eticamente prescrittivo e teoreticamente tassonomico e tautologico assorbe per intero o quasi il pubblico interesse per la lingua. In tale discorso, per ogni (presunta) cosa della lingua, c'è (o dovrebbe esserci) un termine definitorio che, dicendone la natura, dice a cosa serve e, dicendo a cosa serve, ne dice la natura.
La spiegazione grammaticale consiste così nel ribadire, con variate perifrasi ed evocazione di esempi, cosa si pretende che, designando la cosa, quel termine voglia dire. Si prenda il caso esemplare dei dimostrativi. Aggettivi o pronomi che siano, sono quegli elementi della lingua, si legge, che servono per indicare e con i quali "il parlante accenna, quasi con gesto manuale, a un essere o a un oggetto, determinandone la collocazione spaziale o temporale". A dirlo, come si intende, è già il termine dimostrativi con cui li si designa. A dirlo, in altre parole, è il loro stesso nome.
Così prospettati, i termini grammaticali si mostrano inopinatamente simili ai nomi propri parlanti che ricorrono talvolta negli scritti d'invenzione. La grammatica pullula in effetti di termini che funzionano come nomi parlanti e, davanti al mistero della lingua, con la sua terminologia parlante essa è forse solo un'acuta manifestazione di un anelito umano, troppo umano: quello alla motivazione delle parole.
Non basta. Alle definizioni grammaticali non manca mai un briciolo di verità, come, per via di narrazione, succede ai nomi parlanti letterari. Perciò, esse non sono degradabili e, nell'ambiente della cultura, permangono intatte da secoli e secoli, si può dire, inquinandolo definitivamente. Per essere tenute come veritiere, le tautologie non necessitano infatti di prove sperimentali, con un eventuale ricorso alla realtà: a quale, poi, se la realtà, in tale caso, è la lingua? Così, la realtà che descrivono è contenuta nei termini medesimi: auto-sufficienti e auto-evidenti. I termini grammaticali sono insieme il nome e la cosa. Cos'è un nome se non un nome? Cosa una congiunzione se non una congiunzione?
In una prospettiva morale, questo carattere rende le definizioni grammaticali pericolose e rende pericoloso, per un autentico avanzamento delle conoscenze linguistiche, chi, più che propalarle (cosa non necessaria), ne cura incessantemente la manutenzione sociale, proponendole in un millenario novero di persistenti e irrinunciabili luoghi comuni della civiltà.
Proprio come accade con il luogo comune, il briciolo di verità tautologica contenuto nella definizione grammaticale accontenta infatti chi non vuole perdere tempo a pensare e obnubila tutti gli altri. La circostanza riguarda la lingua, come àmbito dell'esperienza umana: quindi una materia, si potrebbe dire, di scarso rilievo, se non completamente irrilevante, tanto dal punto di vista teoretico, quanto da quello etico. 
Vicende in cui tautologie e luoghi comuni hanno intralciato ed intralciano l'avanzamento critico della conoscenza e lo sviluppo morale delle società umane si sono prodotte e si producono incessantemente in domini certo più importanti, ma in cui perlomeno si sa bene, tra chi sa distinguere, che le mezze verità prosperano e che sono più perniciose e difficilmente estirpabili delle aperte menzogne. 
Ciò naturalmente non accade o accade molto poco ormai in riferimento alla lingua, una volta estintasi, come si è estinta, la breve stagione novecentesca di una linguistica non solo come disciplina sperimentale, ma anche e congiuntamente come riflessione critica sul suo oggetto e sugli esseri umani.