"Un vero filosofo non deve mai perdere di vista la lingua, vero barometro le cui variazioni indicano con certezza il buono e il cattivo tempo". A scriverlo è Joseph de Maistre, per i quale "i nomi non sono affatto arbitrari, come hanno affermato tanti uomini i quali avevano perduto i loro nomi... la loro origine deriva, come quella di tutte le cose, direttamente o indirettamente da Dio, perciò non bisogna credere che l'uomo abbia il diritto illimitato di dare nomi anche a quelle cose di cui con qualche diritto può considerarsi autore, e di imporvi nomi secondo l'idea che se ne forma. Dio si è riservata a questo proposito una specie di giurisdizione che è impensabile disconoscere". Per la linguistica, il riconoscimento d'essere alfine una teologia ma, ove il cielo fosse vuoto, un autentico pasticcio (o la più impegnativa delle sfide). Il più gustoso e grottesco paradosso sta però nel corto circuito che parole come queste scatenano se messe in contatto con quelle di alcuni degli attuali detrattori del relativismo, sedicenti illuministi per la pretesa di mettere la loro boriosa pseudo-scienza, cioè in fin dei conti se medesimi, al posto dell'impotente dio vendicatore sognato dal pensatore savoiardo. Non solo quindi illuministi immaginari o, meglio, en travesti ma autentici reazionari forcaioli in servizio permanente ed effettivo.
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