13 luglio 2022

L'apparir di VERO

NIENTE DI VERO
dichiara, come titolo (ed è il caso di dire: alla lettera), la copertina d'una delle opere narrative che sono state in lizza quest'anno per il più rumoroso premio letterario italiano e accredita l'autrice del paradigmatico nome di battesimo di VERONICA
Sono passati undici anni da quando questa raccolta di impressioni linguistiche ("...parce qu'il me blesse ou me séduit...") segnalava quel radicale mutamento dell'onomastica nazionale che, nel quotidiano commercio degli ipocoristici, aveva decretato il declino, si ponga, di Sandro e Betta e l'ascesa di Ale ed Eli, il deperire di Enzo e Rina e l'affermarsi di Vince e Cate. E di Fede, Vale, Costi, Ferdi, Giuli, Simo, Cami, Marghe, Caro, Dani, Adri e chi più ne ha più ne metta: per chi ha curiosità archeologiche (quanti sono undici anni, nel tempo del web?), ecco il reperto.
Oltre che per vero, quel VERO può quindi pacificamente stare oggi per Vero(nica): ambiguità di cui l'autrice pare si sia detta ben consapevole. Appartiene appunto alla generazione con cui  l'andazzo si è definitivamente consolidato.
Dicono le schede editoriali che il libro abbia tema famigliare e sia quindi almeno in parte un'autobiografia. Apollonio non può darne testimonianza diretta, ma, sin dall'apparire dell'opera, il paratesto ne ha qualificato la scrittura di una schiettezza che rasenterebbe la brutalità. La trovata antifrastica del titolo sarebbe quindi ironica, in funzione di enunciazione e di enunciato, nella lettura di VERO tanto come vero (nel libro, non si direbbe la verità), quanto come Vero(nica) (il libro non parlerebbe di Vero(nica)). 
Ma l'antifrasi sarebbe ben più gustosa nel secondo caso se il riferimento fosse sì specificamente a Vero(nica) ma in particolare, quanto a funzione, come enunciatrice. In altre parole se, riferendosi con un famigliare ipocoristico al quel nome che nella grafica della copertina lo sovrasta, il titolo dicesse a chi lo intende che lì dentro non c'è proprio 'niente di suo', che quel nome è al massimo un nom de plume o forse solo una falsa attribuzione e che il testo, tutt'altro che anepigrafo, è in realtà adespoto. Insomma, che il libro non è opera della appena sopra menzionata VERO(NICA). Una stregoneria.
Se così fosse, anche solo per tale ragione e al di là di ogni questione sulla qualità dell'enunciato, di cui Apollonio, per insipienza, non ha nulla da dire, Vero(nica), designazione fasulla di una funzione del testo, avrebbe certamente meritato di vincere il premio.

9 luglio 2022

Sommessi commenti sull'Ultra-Moderno (3): Quantità e qualità, nel lascito

Alla ricerca di differenze, nel difficile (e forse perciò spassoso) lavoro di una plausibile caratterizzazione della temperie in cui accade d'essere finiti, eccone ancora una. 
Diversamente dalle precedenti, la presente, se mai parlerà alle future (ammesso le future abbiano orecchie per ascoltare: dispongano cioè d'una filologia), non lo farà con le sue espressioni migliori, ma con le deteriori. Non lascerà rare perle, documenti e monumenti di eccezionale forza e delicatezza insieme, ma gigantesche e desolate discariche di residui innumerevoli e, forse, indistruttibili di pratiche umane qualsivoglia: spesso le affatto ignobili.
Il prevalere ideologico, oltre che materiale della quantità sulla qualità a ciò del resto doveva ineluttabilmente condurre e a ciò ha condotto. 
Ciò che tutti e tutte, come esseri umani, si sa fare e che consiste più o meno nel vivere (o nel sopravvivere) prevale necessariamente quanto a numero sopra ciò che, per essere fatto, domanda anzitutto un dono modicamente elargito all'umanità, quindi l'amorevole applicazione che coltiva, proteggendolo, quel dono e lo conduce al suo rado fiorire.
Non per i due abituali lettori di questo diario, che lo sanno, ma per chi casualmente ci capitasse, va forse a questo punto precisata ancora una piccola ma cruciale differenza. Riguarda l'attitudine, per dire così, morale da cui questo frustolo sortisce. 
Non vi si afferma che ciò che tutti e tutte, in quanto esseri umani, si sa fare, cioè vivere (o sopravvivere), con il suo fall out, non meriti rispetto. Lo merita e, appunto perché universalmente, in modo sacro: fuori di ogni discussione. 
Ciò che non merita però è la memoria, cioè la fatica culturale che l'umanità ha sempre naturalmente fatto per estrarre, dall'indistinto flusso quantitativo della sua sopravvivenza, i precari valori qualitativi della sua (sempre discutibile) pertinenza.
Ed è forse per tale ragione che il prevalere ideologico e materiale della quantità sulla qualità, nel lascito, pone a chi riflette sulla temperie una questione nuova e di inaudita gravità.     

8 luglio 2022

Lingua loro (42): "Turista etico"

Boia caritatevole
, sgherro creanzato, malvivente timorato, stupratore gentile... Le onde dell'inquinato mare della comunicazione hanno lasciato una loro grassa spuma sulla spiaggia della Citera di Apollonio: turista etico
E quelli in esordio sono gli ideali nessi che, al suo spirito, si sono subito presentati come comparabili, quando l'occhio è caduto sull'immondizia.
Nella presente temperie, il mondo pare un Egitto biblico. Riceve e attende le piaghe che una divinità evidentemente irata gli destina. Tra queste l'invasione turistica, più rovinosa di quella delle cavallette. 
Come torme di locuste, i turisti e le turiste non risparmiano nulla delle aree e delle società che investono. Dal loro passaggio, tutto viene irrimediabilmente guasto e degradato. 
Che ci sia un modo "etico" di darsi a tale pratica distruttiva è fola (moral-commerciale) atta a ripulire le coscienze di chi, per fare le sconcezze che fanno tutti e tutte, pretende pure che gli o le si dica che le sta facendo per il bene e nel modo giusto. E, all'uopo, paga il richiesto.   

5 luglio 2022

Linguistica candida (62): "Linguiste" e "locuteur"

Esprimersi linguisticamente è disporre di un'enorme quantità di conoscenze. Condurre tali conoscenze verso la consapevolezza e attivarle nella direzione di una coscienza linguistica la più ampia possibile è (o dovrebbe essere) il compito della linguistica. 
Come osservanza e come disciplina, questa instaura lingua e lingue come suoi oggetti, nel momento stesso in cui il suo sguardo le inquadra con metodo e prova appunto a farsene consapevole. 
Non c'è linguista migliore del locuteur, quando, come locuteur, egli si ascolta e prende coscienza che il suo lavoro di scoperta non è altro che attenzione e tensione a una consapevolezza trascendentale. È insomma il tentativo di sapere ciò che fa non solo da linguiste, ma anche e soprattutto da locuteur: ciò che fa egli stesso, come, da locuteur, ha fatto, fa, farà ogni altro essere umano, in mille e mille guise diverse.