25 dicembre 2020

Linguistica candida (56): Luce dietro il vetro




Non millanta competenze chi coltiva con consapevolezza un interesse autentico per la lingua e ne fa oggetto di studio e di osservazione. Se ha atteso per molti decenni e con passione al compito, rivendica al massimo una lunga e strenua fedeltà. Non troppo differente da quella di una mosca che, attratta dalla luce scorta al di là di un vetro, non cessa di andare contro la superficie impenetrabile.

20 dicembre 2020

Bolle d'alea (30): Charles Nodier

"La faculté de prévoir l'avenir dans un certain ordre d'événements est fort indépendante, en effet, de révélations, de visions et de magie. Elle s'appartient à quiconque est doué d'une profonde sensibilité, d'un jugement droit, et d'une longue aptitude à l'observation. La raison du phénomène saute aux yeux. C'est que l'avenir est un passé qui recommence".
Charles Nodier, nel suo incompiuto M. Cazotte, detta queste parole rivelatrici. E ovvie, come sono sempre le rivelatrici, quando, sorgendo dall'esperienza di vita, la prendono a tema. Scoprono infatti ciò che è sotto gli occhi di ciascuno, ma diviene lampante solo nel momento gli si indirizza uno sguardo autentico. E, non c'è quasi bisogno di dirlo, ciò succede di rado.
Sono giorni in cui ritualmente si guarda al futuro e questo incostante diario giunge così al suo sedicesimo giro annuale. Forte della consapevolezza procuratagli dalle parole di Nodier, augura quindi a chi gli si accosta e lo segue con benevolente curiosità che la porzione di passato che si appresta appunto a ricominciare sia tra le fauste e liete e che la speranza, come sempre dovrebbe, si nutra di memoria. 

16 dicembre 2020

Emulsioni culturali


Questo fermo-immagine e il testo che l'accompagna sono un mirabile esempio di una circostanza frequentissima nello stato presente della cultura nazionale (ma non solo della nazionale). Mostrano quanto può essere definito alla lettera un'emulsione culturale.
Un'emulsione è "una miscela", recita la relativa voce del Vocabolario on-line dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, "costituita dalla dispersione di goccioline di un liquido (fase dispersa o discontinua) in un altro (fase disperdente o continua) nel quale sono insolubili o quasi". 
Nel caso specifico, la fase dispersa è costituita da Primo Levi e (non si può qui non concedere) dal saggio che ne fa oggetto e dall'autore di tale saggio: poniamo si tratti di olio, per traslato. 
La fase disperdente è invece costituita da Striscia la notizia, la popolare trasmissione comico-satirica da cui è tratto il fermo-immagine, e più generalmente dalla società di comunicazione che la produce e la manda in onda e dal medium che la include e la rende possibile: per continuare con il traslato, l'acqua. 
L'emulsione è un miscuglio ottenuto meccanicamente, una miscela eterogenea che si stabilizza momentaneamente, come si sa. A quanto pare, nel caso in questione, ciò si è verificato qualche sera fa per il pubblico televisivo. Con grande sbattimento, l'olio si è mescolato con l'acqua.
La benemerita casa editrice del saggio (essa fu, com'è appena il caso di ricordare, ispirata, voluta e animata un dì ormai lontano da Leonardo Sciascia, ma molto deve essere mutata) ha a questo punto pensato di tenere ulteriormente stabile l'emulsione, cioè la dispersione di Levi, Beccaria e del suo saggio in Striscia la notizia e nel resto che si è detto. Lo ha fatto con la comunicazione qui esposta, destinata a una rete sociale, con enfasi. 
Con il fermo-immagine e con il testo di accompagnamento, il tweet riprende e rilancia in effetti il momento in cui l'emulsione si è prodotta, per il pubblico che l'avesse perso. In altre parole, per un'utenza diversa ma che si ritiene evidentemente comparabile con quella originale, esso continua a sbattere il miscuglio di modo che l'olio e l'acqua con cui è caducamente composto non si separino, come ineluttabilmente finiranno per fare.
Intrugli siffatti non sono nuovi, nella temperie. Si producono di continuo sotto il pretesto che sono fatti per il bene, per la maggior gloria delle patrie lettere e per un incalcolabile numero di altre nobilissime ragioni. 
Apollonio non ne dubita, non ne mena scandalo né se ne dice nauseato. Evita comunque di avvicinarli troppo ai suoi organi dell'odorato e del gusto. Osserva e descrive, Apollonio, come al solito. E continua a seguire le orme di chi, proprio come Primo Levi, non smise mai di fare differenze (qui, in proposito, un piccolo scritto del suo alter ego).

9 dicembre 2020

Linguistica da strapazzo (46): "Può una spesa cambiare il mondo?"


Si avvicina Natale e riappare sui media una campagna pubblicitaria di una grande azienda italiana della distribuzione organizzata secondo il modello cooperativo. Già alla sua prima comparsa, l'anno scorso, se la memoria non è qui ingannevole, taglio e temi di tale campagna avevano fatto sorridere e riflettere il vecchio Apollonio. 
I suoi due lettori lo sanno: gli riesce difficile fare l'una delle due cose senza associarla all'altra, in quest'ordine o nell'inverso. Il sorriso e il suo modesto contorno sono così tornati e diversamente da quel recente passato la pigrizia di Apollonio viene stavolta vinta dal desiderio di condividerli. 
Ebbene, l'impianto discorsivo con cui la campagna si sviluppa è dialogicamente bipartito. In modo ovviamente artefatto, conta una domanda, esposta qui nel titolo e nella prima immagine, e una risposta affermativa. Eccola:


L'indeterminato una spesa è il fuoco tematico del messaggio: designa quanto esso indirizza i suoi destinatari a fare. L'attributo buona interviene a qualificarlo e sta lì il valore della replica. In funzione di tale attributo la modalità si trasforma da interrogativa in asseverativa, come dice inoltre il punto fermo conclusivo. 
Si faccia attenzione. A potere cambiare il mondo non è una spesa qualsiasi, ma una spesa qualificabile come buona. L'attributo ha valore restrittivo e non descrittivo. Così direbbe chi padroneggia il gergo metalinguistico, senza avere perciò nessun particolare vantaggio nel cogliere intuitivamente la cruciale differenza, come appunto fa qualsiasi parlante.
Del ricorso nel messaggio alla lampante sottigliezza non c'è d'altra parte da stupirsi: avvicinandosi le feste, la campagna invita a spendere, ma non come e dove capita. La spesa, dice, va fatta "buona". E "buona" è proprio lì dove il committente del messaggio espone e vende la sua buona merce. Lo spiegano gli annunci ed è un'ovvietà, in questo tipo di testi, sulla quale non vale la pena di insistere.
Vale al contrario la pena di ricordare che l'aggettivo buono ha un larghissimo spettro di usi e che, nell'area coperta da tali usi, il confine tra materiale e morale praticamente non esiste. "Buona" può essere una pietanza, una circostanza, un'azione, una persona. E tutto ciò, spesso, secondo una catena metonimica: buono o buona è quanto o chi fa (del) bene. La spesa è qui considerata processualmente: è, in altre parole, un'azione e buono o buona è chi fa buone azioni. Questa plasticità o, se si vuole essere più crudi, questa ambiguità fa agio. Qui come quasi sempre. Si sarebbe tentati di dire: nel discorso pubblico, sempre.
Lungi dal collocarsi invariabilmente tra gli atti neutri, se non moralmente negativi del comportamento di una persona (si parlava un tempo in proposito di "consumismo"), la spesa può essere una buona azione e chi fa una buona spesa è (o può sentirsi) buono o buona. Il messaggio si appella alla sua bontà, meglio alla sua volontà d'essere o di apparire buono o buona. Al di là della bontà dell'azione singolare. La bontà della spesa ha infatti ben altra portata: "può cambiare il mondo". Se la spesa è il tema, è questo il rema (per servirsi ancora di una terminologia disciplinare) di domanda e correlata affermazione. 
Ecco allora qualificata la porzione della popolazione che l'azienda vuole che si consideri la sua clientela d'elezione. È gente che si vede, si immagina, si prefigura non solo come buona e incline a fare buone azioni, secondo una consolidata tradizione religiosa nazionale, ma anche come potenziale soggetto di un cambiamento del mondo. Un cambiamento che, venendo da gente buona, è naturale che sia per il meglio e un mondo che, con metonimia visuale, sta per intero nel suo carrello. 
Ed ecco detto correlativamente quale sia il bacino ideologico o, forse meglio, al giorno d'oggi mistico-sentimentale nel quale si muovono questi clienti ideali. Nei punti-vendita di quella azienda, ciò che acquistano, mentre gettano nel loro carrello biscotti per la colazione, carta igienica, salmone norvegese e croccantini per il cane o per il gatto, è (ohibò!) il potere di cambiare il mondo per il meglio: il più grande sogno della Modernità. Un sogno che più di una volta è parso e ancora oggi pare prendere, pur sotto forme diverse, l'aspetto di un incubo. Ma tant'è.
Ora, è superfluo che Apollonio dica a chi sta leggendo questo frustolo di quale tradizione moderna sia estrema e ormai unica rilevante erede, nell'arena pubblica nazionale, la grande azienda italiana della distribuzione organizzata secondo il modello cooperativo che parla attraverso i messaggi qui in questione. Una tradizione univocamente e integralmente volta a cambiare il mondo per il meglio.
Altrettanto inutile è forse ricordare come, proprio da parte di quella tradizione, per il cambiamento del mondo si siano sul principio immaginate come necessarie e ineluttabili azioni collettive di norma politicamente orientate e, dandosi il caso, anche violente: le cosiddette rivoluzioni. O ricordare ancora come, tramontata quell'epoca che si può oggi dire eroica, senza che si abbandonasse la prospettiva politico-sociale per cambiare il mondo, si fosse successivamente venuti all'idea di riforme da realizzare pacificamente, conquistando con procedure dette democratiche un largo consenso, grazie alla delega della rappresentanza espressa con il voto.
Non è da ieri però che la Modernità si è putrefatta e si sono fatte correlativamente liquide le sue tradizioni, non escluse le politiche. Nella putrefazione moderna lo spazio delle rivoluzioni è ormai occupato per intero dalle tecnologie. Nei loro diversi campi, ne fanno perlomeno una per semestre. 
Quanto poi al voto, come alla rappresentanza politica e alla relativa delega a riformare, non ci vuole molto a osservare come, nell'universale liquidità o, forse, nel liquame, siano tutte cose ridotte al ruolo di giochi vacui. A costi di produzione contenuti, vista la scadente qualità dei protagonisti, e quindi diversamente da quanto accade con i giochi dichiaratamente sportivi, se ne serve la comunicazione pubblica, cioè un attore economico-sociale ormai imponente, nelle sue forme tradizionali e non. Con le cangianti figurine di tali giochi, con le loro baruffe, vere o simulate che siano, con gli echi chiassosi che esse provocano in una piazza virtuale frequentata da ogni sorta di scalmanati e scalmanate virtuali si alimenta infatti il suo flusso diluviale. 
Insomma, la grande azienda italiana della distribuzione organizzata secondo il modello cooperativo, estrema e ormai unica rilevante erede di una grande tradizione moderna volta al cambiamento, offre a buoni e buone un tempo e un'occasione di intervento: quelli della spesa. E offre anche uno spazio: quello dei propri punti-vendita. Beninteso, finché costoro avranno qualche danaro in tasca, condizione che potrebbe peraltro cambiare, e rapidamente. 
Un buon acquisto o un acquisto buono al posto del voto, al posto della rivoluzione. E visti gli scarsi e deludenti risultati dei precedenti, c'è persino il rischio che il modo di cambiare il mondo che si vorrebbe nuovo si riveli (ohibò!) quello "buono". Finalmente. 
Una prospettiva bottegaia, dirà qualche incontentabile. Innegabilmente, ben a proposito. Ma, al punto in cui si è, come escludere che, come si fa per ogni altra cosa, per cambiare il mondo, per averne uno migliore, senza faticare o mettersi in prove che oggi si direbbero estreme, basti comprarlo?