31 maggio 2021

La peste

L'immagine che sta in fondo a questo frustolo circola da un paio di giorni nelle reti sociali. Si tratta di una classe, Apollonio non sa di quale scuola, di quale ordine e grado. Studenti e studentesse di tale classe si sono messi e messe in posa, com'è manifesto, per rappresentarsi nell'atto di leggere un libro, lo stesso libro. 
È ragionevole che determinazione o perlomeno coordinazione della rappresentazione siano da attribuire a un o a una docente. E c'è da ritenere che lo scatto sia del o della docente e che sia opera sua il successivo invio della foto a chi, dirigendo una nota manifestazione culturale, l'ha poi resa pubblica. 
E l'ha fatto, dicendo di avere frattanto ricevuto immagini simili anche da altre "scolaresche", a corredo di una campagna di promozione di quella manifestazione. La campagna ha appunto comportato un'operazione benemerita: la distribuzione gratuita, presso un certo numero di scuole, di alcune migliaia di copie del libro nella cui lettura quei e quelle giovani simulano di essere immersi e immerse, singolarmente o a gruppi di due.
Il libro, si apprende, è La peste di Albert Camus e Apollonio non può trattenersi dal pensare che, anche con le migliori intenzioni, anche a palese fin di bene, lo scrittore francese e la sua opera non meritino di trovarsi coinvolti in siffatte ritualità e, soprattutto, nella correlata messa in scena pubblica. 
Fare circolare, dandole enfasi, un'immagine in cui ragazzi e ragazze tengono aperto tutti e tutte lo stesso libro, quasi si trattasse di un testo autorevolmente, se non autoritariamente raccomandato, e si rappresentano nell'atto di una sua improbabile lettura, può forse corrispondere bene a illustrare lo zelo del o della loro docente e il suo desiderio di costruirsi qualche giustificabile merito, può forse fare apparire "etiche" (come si usa dire oggi) le pratiche comunicative di un'encomiabile intrapresa che della cultura, si badi bene, fa tuttavia e in ogni caso commercio.  
Ma, pur come minuscola evenienza di un clima morale e civile, la riduzione della figura di Camus e del suo romanzo che inevitabilmente si accompagna a un simile e pur momentaneo allestimento pare ad Apollonio un autentico rovesciamento dei valori che scrittore e romanzo testimoniarono, in un'epoca di tragiche contrapposizioni e di dolorose battaglie, e continuano ancora a testimoniare, per una prassi della solidarietà umana capace di sentire tuttavia come sacra e inviolabile la libertà individuale.
Non c'era posa in Camus (Apollonio, probabilmente illuso, continua a pensarlo), non c'era invito a fare di un libro, tanto meno di uno dei suoi, il pretesto di un rito per una rappresentazione collettiva, anche modestissima. A ragazzi e ragazze, nei fatti e non a parole, è forse quello che oggi bisognerebbe anzitutto fare intendere:







 

29 maggio 2021

Indirizzi di metodo, per giovani che non ne necessitano (27)

Qual è il limite oltre il quale la ricerca di un'affermazione personale diventa sciocca manifestazione di vanità? Impossibile saperlo. Nell'incertezza, niente esibizioni, in proposito, di una volontà determinata, proclamazioni del proprio valore, fasti per i traguardi raggiunti. Non c'è merito che valga, umanamente, il dono d'una lieve disposizione naturale semmai baciata dal caso.

26 maggio 2021

Etimi a gogò

Innumerevoli ambulanti percorrono da qualche tempo in lungo e in largo il villaggio della comunicazione pubblica, vendendo, talvolta come articolo principale, talaltra come prodotto complementare, un'epilinguistica liquida composta principalmente di etimologie, affidabili o fantasiose poco importa. 
Si sbaglierebbe a menarne scandalo. L'idea che tutto ciò che è reale sia razionale fu certo effetto di un delirio da cui il pensiero si spera sia guarito. Forse solo per ottimismo, pare tuttavia ancora praticabile ad Apollonio l'ipotesi che, come osservatori consapevoli, si possano cogliere nella realtà correlazioni di un qualche interesse conoscitivo. E il florido commercio di etimi dice che c'è nella temperie una nevrotica sete di senso. 
L'ignaro pubblico che patisce di tale sete acquista da quegli ambulanti quanto ritiene possa dargli ristoro. Del resto, con le loro etimologie, costoro vendono alla loro clientela l'illusione di penetrare qualche arcano di un'espressione, spesso proprio la sua, la cui mancanza di motivazione è sentita come intollerabile e angosciosa. 
Un etimo, in virtù del suo stesso etimo, procura a chi se lo beve la momentanea ebbrezza di credere di sapere cosa diavolo stia dicendo o pensando. Di toccare finalmente quel suolo di certezze in cui la parola è vera: corrisponde cioè senza residui alla cosa. Meglio, in cui la cosa stessa è la parola e la parola stessa la cosa.
Smania comprensibile presso gente alla buona, considerato che anche chierici reputatissimi di tutte le chiese e di tutte le ideologie ne sono stati e ne sono ancora preda. 

24 maggio 2021

Måneskin e funzione poetica

Ciò che va soprattutto osservato, ora che una platea internazionale ha decretato l'eventualità di un successo oltre i confini nazionali dei Måneskin, è che l'italiano s'è accreditato come lingua compatibile con le sonorità e il ritmo del rock. 
Almeno per una serata, ovviamente. Diranno il tempo, la stoffa e il futuro della band, simpatica ad Apollonio non fosse altro che la per la fresca età dei suoi quattro componenti, se questo momentaneo risultato si consoliderà, per quello che potrà, naturalmente, o se resterà effimero, come tanti altri inesplicabili exploit nel mondo dello show business, per definizione al tempo stesso luminosissimo ed evanescente.
I Måneskin "spaccano", per servirsi di un'espressione corrente. Ciò significa che all'accreditamento dell'italiano nell'occasione ha certamente contribuito la loro presenza scenica. Anzitutto quella del loro frontman, come si dice adesso, ma anche quelle dell'altra e degli altri componenti del gruppo. 
Con quanto dicono i loro corpi sul palcoscenico, tutti interpretano in modo al tempo stesso topico e personale movenze che quanto ai protagonisti della scena del rock internazionale sono tipiche ormai da ben più di mezzo secolo e rendono riconoscibili i quattro ventenni anche a un pubblico che, anagraficamente, ha l'età dei loro nonni e delle loro nonne. 
"Rock and roll never dies" è divenuta nell'occasione del trionfo la loro peraltro non nuova divisa e, anche con riferimento al loro sound, al loro stile musicale (al di là di ogni giudizio qualitativo), in tale posizionamento ultra-generazionale, più che inter-generazionale, sta con ogni ragionevolezza un importante fondamento del loro trionfo sanremese, propiziato da un pubblico ben avanti con gli anni, come è quello della manifestazione canora nazionale. Un pubblico anziano, ma sensibile al ricordo nostalgico d'essere stato giovane e, almeno a musica, inquieto, se non ribellista. Proprio come il rock è per definizione.
A Rotterdam e sugli schermi di molta Europa, poche sere fa i Måneskin sono andati ben oltre il loro bacino linguistico, tuttavia. Ed è ovvio che le parole in italiano e il correlato "messaggio" della loro canzone, "Zitti e buoni", non possono averli aiutati o, se lo hanno fatto, lo hanno fatto molto poco. 
L'accreditamento dell'italiano come lingua compatibile col rock sopra quel palcoscenico non deve essere quindi avvenuto in riferimento al significato, forse nemmeno in riferimento al senso, se non in un senso che di semantico non ha quasi nulla. 
Deve essersi trattato soprattutto d'una compatibilità locutiva e di un "recitar cantando", per dire così, che il frontman dei Måneskin ha reso strettamente funzionale al tessuto musicale del pezzo (quale che sia la sua qualità), confutando nei fatti e in quattro minuti il luogo comune globale che in italiano si possano cantare solo opere liriche e canzoni d'amore. Insomma, mera funzione poetica.
Di rimbalzo, c'è forse da chiedersi se ciò non sia vero, per intendere cosa valga il successo dei Måneskin, anche nello stagno dell'italofonia e se quindi spiegare, a proposito di "Zitti e buoni", "cosa vuole dire il poeta" non sia solo l'ennesimo esercizio di quell'inguaribile morbo ermeneutico che in Italia si contrae regolarmente a scuola e che colpisce le migliori intelligenze.
È rock, quello dei Måneskin. Come ha perfettamente inteso, per una serata, un pubblico internazionale, cosa si vuole dicano le parole della loro canzone se non che è rock?


   

Metamorfosi taorminesi


Fu nell'ottavo secolo a. C. che i Calcidesi sbarcarono a Naxos e vi fondarono la prima colonia greca di Sicilia. Dall'alto di quella che non molto tempo dopo, fattasi anch'essa siceliota, sarebbe divenuta Tauromenio e poi Taormina, i Siculi videro arrivare certamente quegli immigrati. Chissà se li considerarono regolari. Certo è che, presto, anche Taormina si grecizzò. A tal punto da pretendere (in concorrenza con Siracusa) di avere dato i natali, secoli dopo, a Timèo, il più importante storico di quella ondata migratoria, tanto decisiva per l'antica civiltà del meridione della penisola italiana (dettο dai civilissimi colonizzatori Μεγάλη Ἑλλάς e dai Romani Magna Græcia) e della maggiore isola del Mediterraneo (Σικελία, per i Greci, o Τρινακρία).
Certo, è passato tanto tempo da allora. Non si può pretendere che nella ridente Taormina qualcuno tenga oggi memoria della lingua di quegli antichi immigrati, come però pare si sia fatto (e con onore) ancora fino a qualche tempo fa. Non c'erano però i festival culturali e di conseguenza la cultura languiva, poverina. Ora no. Ora fiorisce e se ne coglie, per esempio, questa graziosa corolla:


La si trova da qualche giorno nella rete. Fa bella mostra di sé nella presentazione della manifestazione che vi è a un certo punto nominata: una manifestazione consacrata, dicono, "alle belle lettere" (se fosse alle "brutte", non si osa immaginare cosa capiterebbe di leggere...).
Ah! Apollonio dimenticava: saputo di quel "morphos, forma", a loro attribuito, pare che gli aspri spiriti degli antichi colonizzatori, vivi anche dopo quasi tre millenni, abbiano raccolto le loro povere cose e, montati sulle navi, abbiano volto le prue lontano dalla Sicilia, dichiarando che, se con i Siculi di un tempo non era spiacevole intrattenere commerci, con Siciliani e Siciliane di adesso e con i loro festival culturali, loro, non vogliono avere proprio nulla da spartire e che, in ogni caso, non sanno proprio da dove diavolo questa ridicola barbarie sortisca. Inutili i tentativi di fermarli e di sottrarli alla convinzione che ormai, in quell'isola disgraziata, fatte salve le chiacchiere, sia tutto perduto. 

[L'immagine in testa a questo frustolo: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=33066815]

5 maggio 2021

A frusto a frusto (130)






L'insipienza è vorace e non c'è idea che, buona o cattiva che sia, crescendo in forza e popolarità, non la ingrassi.