26 maggio 2021

Etimi a gogò

Innumerevoli ambulanti percorrono da qualche tempo in lungo e in largo il villaggio della comunicazione pubblica, vendendo, talvolta come articolo principale, talaltra come prodotto complementare, un'epilinguistica liquida composta principalmente di etimologie, affidabili o fantasiose poco importa. 
Si sbaglierebbe a menarne scandalo. L'idea che tutto ciò che è reale sia razionale fu certo effetto di un delirio da cui il pensiero si spera sia guarito. Forse solo per ottimismo, pare tuttavia ancora praticabile ad Apollonio l'ipotesi che, come osservatori consapevoli, si possano cogliere nella realtà correlazioni di un qualche interesse conoscitivo. E il florido commercio di etimi dice che c'è nella temperie una nevrotica sete di senso. 
L'ignaro pubblico che patisce di tale sete acquista da quegli ambulanti quanto ritiene possa dargli ristoro. Del resto, con le loro etimologie, costoro vendono alla loro clientela l'illusione di penetrare qualche arcano di un'espressione, spesso proprio la sua, la cui mancanza di motivazione è sentita come intollerabile e angosciosa. 
Un etimo, in virtù del suo stesso etimo, procura a chi se lo beve la momentanea ebbrezza di credere di sapere cosa diavolo stia dicendo o pensando. Di toccare finalmente quel suolo di certezze in cui la parola è vera: corrisponde cioè senza residui alla cosa. Meglio, in cui la cosa stessa è la parola e la parola stessa la cosa.
Smania comprensibile presso gente alla buona, considerato che anche chierici reputatissimi di tutte le chiese e di tutte le ideologie ne sono stati e ne sono ancora preda. 

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