27 novembre 2020

Linguistica candida (55): In barba a Occam


A chi l'osserva con devota attenzione, la lingua dice di se stessa come funziona. Invece, per discettare di suoi caratteri talvolta peregrini, pretendendo addirittura di spiegarli, molta linguistica, con perversa, onirica e crescente ostinazione, fantastica di enti di ogni specie, detti un tempo soprattutto semantici e grammaticali, oggi cognitivi. E sono tanti ormai tali enti che, per tagliarli via, al celebre rasoio si guasterebbe il filo.

23 novembre 2020

Cronache dal demo di Colono (66): I monopattini ultra-moderni

Migliaia e migliaia di monopattini hanno cominciato a scorrazzare da qualche tempo nelle città. A bordo non ci sono bambini o bambine e le persone adulte che se ne servono non hanno nemmeno l'aria di chi cerca giustificazioni per farlo. Anzi. 
È l'andazzo e a sostegno di un andazzo una propaganda ideologica non fa mai difetto. Le ragioni di tale propaganda sono a dire il vero le più bislacche, ma non c'è da stupirsene. Tutto ciò che è reale, è stato autorevolmente detto, è razionale (quasi sempre a cose fatte: ma è un dettaglio). Forse, va tuttavia aggiunto che, se si rovista con un po' di senso critico nel reale, vi si scovano un sacco di cose che, benché razionali, sono irresistibilmente comiche. Sarà il caso dei monopattini che qui si diranno ultra-moderni e del loro uso? Oggetti razionalmente comici o comicamente razionali, disposti a un uso che, razionalissimo, fa in effetti morire dal ridere.
Perché ultra-moderni? Perché i monopattini di cui si sta dicendo non procedono a forza di gambe, come ancora quelli a questo punto da considerare pre-ultra-moderni e bambineschi. A muoverli è un motore elettrico alimentato da una batteria. Poco sa Apollonio della produzione di tale batteria. Ancora meno di come, esauritasi dopo molte ricariche, la si smaltisce. Sospetta che ambedue le procedure siano perlomeno delicate dal punto di vista ambientale. 
Ma non si vuole stare qui a sottilizzare sopra questioni che poco o nulla si padroneggiano. Il succo di questo frustolo non ne dipende e ciò che con esso si vuole dire è lampante. Diversamente da quanto accadeva con i monopattini pre-ultra-moderni e bambineschi, con i monopattini ultra-moderni ci si scarrozza chiome al vento senza sudare. In questo sta il loro valore: come bambini, sì, ma, proprio in quanto non più bambini, niente sforzi, per carità.
La combinazione dice cosa sono i monopattini ultra-moderni, da elementi dell'espressione sistematica della temperie, e spiega socio-antropologicamente il correlato andazzo.
I monopattini ultra-moderni (o, che è lo stesso, della modernità putrefatta) sono un sintomo ulteriore e loquacissimo dell'infantilismo senile di una società e forse di una civiltà. Sono insomma, ancora una volta, una disarmante manifestazione di rimbambimento.

19 novembre 2020

A frusto a frusto (127)





Si potrà pretendere dall'ermeneuta che quanto meno capisca qualcosa di ciò che interpreta?

17 novembre 2020

Echi di Eco

"La semiotica ha a che fare con qualsiasi cosa possa essere ASSUNTA come segno. È segno ogni cosa che possa essere assunto come un sostituto significante di qualcosa d'altro. Questo qualcosa d'altro non deve necessariamente esistere, né deve sussistere di fatto nel momento in cui il segno sta in luogo di esso. In tal senso, la semiotica, in principio, è la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire". 
Sono celebri e sovente citate parole di Umberto Eco, tratte dalla pag. 17 del suo Trattato di semiotica generale (Bompiani, Milano 1975; maiuscolo e corsivo, si precisa, sono nell'originale). 
Non si ha qui titolo per dire se esse, a loro volta, mentano o dicano il vero, anche perché ragionevole è il sospetto che, proprio al loro riguardo, l'alternativa non si ponga e che, anche se paiono teoria, siano narrazione. Bella, efficace, seducente narrazione, va detto.
Utile è invece osservare il modo con cui, grazie a esse, Eco propone non di delimitare né di determinare, ma di qualificare lo sterminato, si direbbe appunto ecumenico campo di intervento di cui si proclama proprio in quegli anni letteralmente guardiano ("gatekeeper", disse nel 1974, in chiusura del primo congresso della Associazione internazionale di studi semiotici). Lo fa tirando in ballo la menzogna, con un effetto superficiale di straniante anticonformismo. Per correlazione ineluttabile, a essere però chiamata in causa è così la verità. E la brillante sortita appare allora parlante manifestazione di una forma mentis e del conio che l'ha prodotta: da quel conio è sortito il pensiero di Eco. 
Uno sguardo che lentamente si allontana ne individua i tratti portanti e comincia così a intendere chi sia stato e cosa abbia rappresentato Umberto Eco nella secolare tradizione della cultura (nazionale).

L'epilinguistica ferroviaria d'un dì, oggi

Origine del linguaggio, etimologie sempre rivelatrici (e talvolta peregrine), dubbi ed errori grammaticali. Nei compartimenti dei treni, quando ancora i treni avevano compartimenti, era impossibile non si producesse un effimero salotto e non si intrecciassero conversazioni, soprattutto durante i lunghi spostamenti. Se un viaggiatore, con altri frammenti di vita, lasciava trapelare un interesse per la lingua, si poteva stare certi che, nella chiacchierata, uno di quei tre temi si sarebbe imposto. Spesso più d'uno.
Sono proprio i temi sotto i quali, in un modo o nell'altro e a diversi livelli di (pretesa) specializzazione, ricade oggi una buona fetta di ciò che circola pubblicamente come linguistica: dubbi ed errori grammaticali, etimologie sempre rivelatrici (e talvolta peregrine), origine del linguaggio. 

9 novembre 2020

Onomastica letteraria (1): Palomarcovaldo


Con candida attenzione, vale la pena di osservare che l'ultima sillaba di Palomar è la prima di Marcovaldo. Senza sognare subito che chissà cosa voglia dire. Senza cominciare a specularci sopra. Ma con il consapevole dubbio che non si tratti di un accidente e che ciò che inoppugnabilmente si osserva manifesti, come variata iterazione in un sistema complesso, tanto una relazione, quanto una differenza. Con la parola di Italo Calvino e con le sfide che essa lancia a chi la legge, così forse andrebbe sempre fatto.