28 giugno 2020

Sommessi commenti sul Moderno (27): Chiesa ovunque

Ci sono state epoche, che sono state dette bigotte, e luoghi, che sono stati considerati asfittici, in cui per ascoltare chi diceva come ci si dovesse comportare bisognava andare in chiesa. 
Adesso, in qualsiasi luogo, basta esporsi, come destinatario o come destinataria, a qualsivoglia forma di comunicazione: privata e pubblica, scritta e orale, digitale e analogica, artistica e no. 
Dappertutto, c'è la certezza di incappare in chi detta precetti e lancia anatemi, prescrive e stigmatizza, s'indigna e grida allo scandalo, giudica e manda. 
La predica morale, con le connesse deprecazioni, è il genere che caratterizza la temperie ed è tale sua corriva volgarità a dire che le sue innumerevoli evenienze non possono avere il solo tratto che le riscatterebbe, come del resto ha fatto in altri momenti: una rigorosa qualità letteraria. 
Si può anche predicare bene, infatti, ma per farlo niente è più superfluo di nutrire buoni sentimenti e migliori intenzioni.
Insomma, ennesima sineddoche del suo ridicolo fallimento morale, il Moderno ha fatto maldestramente deserto delle belle chiese per liquefarsi, graveolente, in un tempo in cui chiesa, e chiesa qualunque è ovunque. 

6 giugno 2020

Sommessi commenti sul Moderno (26): La paura in maschera

In una temperie che non è ancora completamente trascorsa e che probabilmente non solo non trascorrerà in fretta, ma lascerà sedimenti morali e materiali anche di lunga durata, al di là della questione dell'appropriatezza delle misure adottate, qui fuori della pertinenza, fa sorridere e dovrebbe fare meditare che il discorso pubblico abbia dipinto e incoraggiato come una proba prova di civismo ciò che si è invece configurato e sviluppato come una dannata strizza individuale o, al massimo, familista. Insomma, la paura personale ha circolato e circola discorsivamente e ideologicamente mascherata da civica virtù.  
Se ne può sorridere e ci si può riflettere sopra, si diceva, senza proclamare in proposito indignazioni. A modernità ormai putrefatta, sarebbe infatti stupido attendersi che le cose vengano chiamate con i loro nomi dal discorso pubblico e dagli innumerevoli rivoli dei discorsi semi-privati e privati che ne discendono e ne diffondono capillarmente modi e contenuti. E stupido e malandrino (fare sembiante di) avere l'ineludibile pretesa di sentire dire pane al pane e vino al vino.
Come se non si sapesse da più di due secoli che, con quel discorso chiassoso e con i suoi vocianti succedanei, a ogni persona che tiene alla sua libertà e alla sua integrità tocca interagire, per via di mera testimonianza, con una pacatezza critica, leggera e rassegnata. Soprattutto senza alzare i toni e senza mirare all'ascolto di chicchessia, dal momento che, alzandoli, si fa il suo gioco ed è appunto nell'ascolto di chicchessia che esso ha il suo ubi consistam.  

2 giugno 2020

La via di Paolo Fabbri

"Ora, così come nessun linguista accetterebbe l'idea che il linguaggio è fatto di parole, credo che nessun semiologo dovrebbe accettare l'idea che i sistemi di significazione sono fatti di segni. La semiotica, come la linguistica, dovrebbe semmai interessarsi al modo con cui attraverso una certa forma sonora (o altrimenti significante) noi produciamo sistemi e processi di significazione, ossia siamo in grado di significare mediante un certo tipo di organizzazione (fonetica, iconica, gestuale etc.). Il che porta a modelli esplicativi che non hanno nulla a che vedere con sommatorie di parole. La lingua non è una somma di parole, e un sistema di significazione, a sua volta, non è un insieme di segni".
Distante o prossima, correva a tratti parallela, la via di Paolo Fabbri. Una via non sempre perspicua, va detto. E il suo passo, talvolta, poteva parere ingenuo (come si intravede del resto anche nel piccolo brano appena citato). D'altronde, se mai da parte di Paolo c'è stato interesse per Apollonio Discolo e per il suo alter ego (al di là del prezioso svelamento anagrammatico che con "Apollo col Dioniso" procurò al nome di chi scrive questo diario), chissà quante volte i loro passi sulla loro via gli saranno parsi anche più ingenui, malfermi e infantili.