"Ora, così come nessun linguista accetterebbe l'idea che il linguaggio è fatto di parole, credo che nessun semiologo dovrebbe accettare l'idea che i sistemi di significazione sono fatti di segni. La semiotica, come la linguistica, dovrebbe semmai interessarsi al modo con cui attraverso una certa forma sonora (o altrimenti significante) noi produciamo sistemi e processi di significazione, ossia siamo in grado di significare mediante un certo tipo di organizzazione (fonetica, iconica, gestuale etc.). Il che porta a modelli esplicativi che non hanno nulla a che vedere con sommatorie di parole. La lingua non è una somma di parole, e un sistema di significazione, a sua volta, non è un insieme di segni".
Distante o prossima, correva a tratti parallela, la via di Paolo Fabbri. Una via non sempre perspicua, va detto. E il suo passo, talvolta, poteva parere ingenuo (come si intravede del resto anche nel piccolo brano appena citato). D'altronde, se mai da parte di Paolo c'è stato interesse per Apollonio Discolo e per il suo alter ego (al di là del prezioso svelamento anagrammatico che con "Apollo col Dioniso" procurò al nome di chi scrive questo diario), chissà quante volte i loro passi sulla loro via gli saranno parsi anche più ingenui, malfermi e infantili.
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