9 dicembre 2020

Linguistica da strapazzo (46): "Può una spesa cambiare il mondo?"


Si avvicina Natale e riappare sui media una campagna pubblicitaria di una grande azienda italiana della distribuzione organizzata secondo il modello cooperativo. Già alla sua prima comparsa, l'anno scorso, se la memoria non è qui ingannevole, taglio e temi di tale campagna avevano fatto sorridere e riflettere il vecchio Apollonio. 
I suoi due lettori lo sanno: gli riesce difficile fare l'una delle due cose senza associarla all'altra, in quest'ordine o nell'inverso. Il sorriso e il suo modesto contorno sono così tornati e diversamente da quel recente passato la pigrizia di Apollonio viene stavolta vinta dal desiderio di condividerli. 
Ebbene, l'impianto discorsivo con cui la campagna si sviluppa è dialogicamente bipartito. In modo ovviamente artefatto, conta una domanda, esposta qui nel titolo e nella prima immagine, e una risposta affermativa. Eccola:


L'indeterminato una spesa è il fuoco tematico del messaggio: designa quanto esso indirizza i suoi destinatari a fare. L'attributo buona interviene a qualificarlo e sta lì il valore della replica. In funzione di tale attributo la modalità si trasforma da interrogativa in asseverativa, come dice inoltre il punto fermo conclusivo. 
Si faccia attenzione. A potere cambiare il mondo non è una spesa qualsiasi, ma una spesa qualificabile come buona. L'attributo ha valore restrittivo e non descrittivo. Così direbbe chi padroneggia il gergo metalinguistico, senza avere perciò nessun particolare vantaggio nel cogliere intuitivamente la cruciale differenza, come appunto fa qualsiasi parlante.
Del ricorso nel messaggio alla lampante sottigliezza non c'è d'altra parte da stupirsi: avvicinandosi le feste, la campagna invita a spendere, ma non come e dove capita. La spesa, dice, va fatta "buona". E "buona" è proprio lì dove il committente del messaggio espone e vende la sua buona merce. Lo spiegano gli annunci ed è un'ovvietà, in questo tipo di testi, sulla quale non vale la pena di insistere.
Vale al contrario la pena di ricordare che l'aggettivo buono ha un larghissimo spettro di usi e che, nell'area coperta da tali usi, il confine tra materiale e morale praticamente non esiste. "Buona" può essere una pietanza, una circostanza, un'azione, una persona. E tutto ciò, spesso, secondo una catena metonimica: buono o buona è quanto o chi fa (del) bene. La spesa è qui considerata processualmente: è, in altre parole, un'azione e buono o buona è chi fa buone azioni. Questa plasticità o, se si vuole essere più crudi, questa ambiguità fa agio. Qui come quasi sempre. Si sarebbe tentati di dire: nel discorso pubblico, sempre.
Lungi dal collocarsi invariabilmente tra gli atti neutri, se non moralmente negativi del comportamento di una persona (si parlava un tempo in proposito di "consumismo"), la spesa può essere una buona azione e chi fa una buona spesa è (o può sentirsi) buono o buona. Il messaggio si appella alla sua bontà, meglio alla sua volontà d'essere o di apparire buono o buona. Al di là della bontà dell'azione singolare. La bontà della spesa ha infatti ben altra portata: "può cambiare il mondo". Se la spesa è il tema, è questo il rema (per servirsi ancora di una terminologia disciplinare) di domanda e correlata affermazione. 
Ecco allora qualificata la porzione della popolazione che l'azienda vuole che si consideri la sua clientela d'elezione. È gente che si vede, si immagina, si prefigura non solo come buona e incline a fare buone azioni, secondo una consolidata tradizione religiosa nazionale, ma anche come potenziale soggetto di un cambiamento del mondo. Un cambiamento che, venendo da gente buona, è naturale che sia per il meglio e un mondo che, con metonimia visuale, sta per intero nel suo carrello. 
Ed ecco detto correlativamente quale sia il bacino ideologico o, forse meglio, al giorno d'oggi mistico-sentimentale nel quale si muovono questi clienti ideali. Nei punti-vendita di quella azienda, ciò che acquistano, mentre gettano nel loro carrello biscotti per la colazione, carta igienica, salmone norvegese e croccantini per il cane o per il gatto, è (ohibò!) il potere di cambiare il mondo per il meglio: il più grande sogno della Modernità. Un sogno che più di una volta è parso e ancora oggi pare prendere, pur sotto forme diverse, l'aspetto di un incubo. Ma tant'è.
Ora, è superfluo che Apollonio dica a chi sta leggendo questo frustolo di quale tradizione moderna sia estrema e ormai unica rilevante erede, nell'arena pubblica nazionale, la grande azienda italiana della distribuzione organizzata secondo il modello cooperativo che parla attraverso i messaggi qui in questione. Una tradizione univocamente e integralmente volta a cambiare il mondo per il meglio.
Altrettanto inutile è forse ricordare come, proprio da parte di quella tradizione, per il cambiamento del mondo si siano sul principio immaginate come necessarie e ineluttabili azioni collettive di norma politicamente orientate e, dandosi il caso, anche violente: le cosiddette rivoluzioni. O ricordare ancora come, tramontata quell'epoca che si può oggi dire eroica, senza che si abbandonasse la prospettiva politico-sociale per cambiare il mondo, si fosse successivamente venuti all'idea di riforme da realizzare pacificamente, conquistando con procedure dette democratiche un largo consenso, grazie alla delega della rappresentanza espressa con il voto.
Non è da ieri però che la Modernità si è putrefatta e si sono fatte correlativamente liquide le sue tradizioni, non escluse le politiche. Nella putrefazione moderna lo spazio delle rivoluzioni è ormai occupato per intero dalle tecnologie. Nei loro diversi campi, ne fanno perlomeno una per semestre. 
Quanto poi al voto, come alla rappresentanza politica e alla relativa delega a riformare, non ci vuole molto a osservare come, nell'universale liquidità o, forse, nel liquame, siano tutte cose ridotte al ruolo di giochi vacui. A costi di produzione contenuti, vista la scadente qualità dei protagonisti, e quindi diversamente da quanto accade con i giochi dichiaratamente sportivi, se ne serve la comunicazione pubblica, cioè un attore economico-sociale ormai imponente, nelle sue forme tradizionali e non. Con le cangianti figurine di tali giochi, con le loro baruffe, vere o simulate che siano, con gli echi chiassosi che esse provocano in una piazza virtuale frequentata da ogni sorta di scalmanati e scalmanate virtuali si alimenta infatti il suo flusso diluviale. 
Insomma, la grande azienda italiana della distribuzione organizzata secondo il modello cooperativo, estrema e ormai unica rilevante erede di una grande tradizione moderna volta al cambiamento, offre a buoni e buone un tempo e un'occasione di intervento: quelli della spesa. E offre anche uno spazio: quello dei propri punti-vendita. Beninteso, finché costoro avranno qualche danaro in tasca, condizione che potrebbe peraltro cambiare, e rapidamente. 
Un buon acquisto o un acquisto buono al posto del voto, al posto della rivoluzione. E visti gli scarsi e deludenti risultati dei precedenti, c'è persino il rischio che il modo di cambiare il mondo che si vorrebbe nuovo si riveli (ohibò!) quello "buono". Finalmente. 
Una prospettiva bottegaia, dirà qualche incontentabile. Innegabilmente, ben a proposito. Ma, al punto in cui si è, come escludere che, come si fa per ogni altra cosa, per cambiare il mondo, per averne uno migliore, senza faticare o mettersi in prove che oggi si direbbero estreme, basti comprarlo?

3 commenti:

  1. Gentile Apollonio,
    il suo frùstolo, come spesso accade, dà da pensare.
    Ho letto poco fa il frùstolo quotidiano di Michele Serra su Repubblica e mi pare parli dello stesso tema.
    Non so se ne sia abituale lettore, per sua comodità copio e incollo qui sotto il relativo link:
    https://rep.repubblica.it/pwa/rubrica/2020/12/11/news/che_cosa_rischia_l_egitto-277981938/?ref=RHTP-BC-I270682881-P8-S4-T1
    Per parte mia sono meno assertivo e più vicino alla sua domanda ("come escludere"), la modernità è putrefatta, ma forse l'uso "buono" della carta di credito è davvero fondamentale per mantenere una qualche possibilità di un mondo migliore.
    Approfitto dell'occasione per augurarle serene Feste in un momento complicato (o forse solo tragicamente semplice).
    Il suo affezionato lettore
    Mauro Lena

    RispondiElimina
  2. Apollonio Discolo12/12/20 17:27

    Apollonio è di norma ignaro di cosa pubblicano i giornali, amabile e fedele Lettore, e Le è perciò molto grato della segnalazione. Lo perdoni: perso com'è dietro le sue fantasie e in torpida compagnia delle sue anticaglie, non presta grande attenzione alla realtà. Ha così piacere di apprendere di consonanze e di vedere le sue domande condivise.
    Il Suo tempestivo augurio giunge molto gradito. Apollonio lo ricambia in questa sede, riservandosi di ribadirlo, nei modi che gli sono soliti, quando si sarà più prossimi alle date rituali. Quanto al resto, non c'è tragedia, come Lei sa, senza ironia e non c'è ironia che non apra la strada al sorriso.

    RispondiElimina
  3. Apollonio Discolo22/12/20 08:29

    Un lettore o una lettrice senza nome ha qui lasciato ieri qualche riga che non aveva direttamente a tema il frustolo, se Apollonio l'ha bene intesa, ma la breve conseguente discussione e con modi spicci e perentori. Non sono quelli in uso in questo ridotto appartato e sorridente (caso mai, amaramente, ma sempre sorridente).

    RispondiElimina