Dopo quaranta anni, “barone” torna a risuonare forte: designa spregiativamente chi ha raggiunto nelle università italiane il gradino più alto nella funzione di docente.
Non lo fa nell'isolato titolo di un articolo giornalistico dedicato a presunte circoscritte malefatte di un “barone”: per persistente endemia, così è di tanto in tanto accaduto negli ultimi quaranta anni.
Come allora, lo fa invece in modo generale, virulento ed epidemico e serve a indicare un'intera categoria professionale, tra i ranghi della quale si conta ovviamente la stessa percentuale di imbecilli e di lestofanti che si conta in ogni altra, dai ciabattini ai poeti laureati.
La malefatta dei “baroni” è nuovamente assoluta. Consiste nella loro stessa esistenza. Vanno tolti di mezzo. E i luoghi dove si annidano vanno bonificati.
C'è tuttavia una differenza rispetto a quel passato. Stavolta “baroni” non ricorre sulle bocche e negli striscioni dei “sovversivi”, sospettati anzi di essere oggi in combutta coi “baroni”. Ricorre nell'espressione di rappresentanti del potere politico-mediatico. È sufficiente aprire un giornale e accendere la TV per averne prova: “Basta con i baroni”, gridano in coro.
L'illusione lessicale ci fa ritenere una parola sempre eguale a se stessa. Si concede al massimo che cambi nei tempi lunghi della storia e quaranta anni potrebbero essere un'inezia. Ma non è così. Una parola cambia invece anche istante dopo istante, in funzione del discorso in cui sta e di chi se ne sta servendo.
Un vice-ministro, un esponente del governo-ombra, il direttore di un telegiornale che, nella loro espressione pubblica, si riferiscono a chi ha raggiunto il gradino più alto nella funzione di docente chiamandolo “barone” dicono una cosa completamente diversa da quella che direbbe al megafono un redivivo studente sovversivo, se adoperasse la stessa parola incitando i suoi compagni di studio a una manifestazione di piazza.
Sulla bocca di chi ha potere, sulla bocca di chi serve il potere e usa demagogicamente “barone” con derisorio spregio, la parola rischia di tornare, come per incanto, ai suoi fasti etimologici. Invisa a imbecilli e lestofanti, comunque mascherati e a qualsiasi categoria appartengano, rischia insomma di tornare a valere semplicemente 'uomo libero'.
Non lo fa nell'isolato titolo di un articolo giornalistico dedicato a presunte circoscritte malefatte di un “barone”: per persistente endemia, così è di tanto in tanto accaduto negli ultimi quaranta anni.
Come allora, lo fa invece in modo generale, virulento ed epidemico e serve a indicare un'intera categoria professionale, tra i ranghi della quale si conta ovviamente la stessa percentuale di imbecilli e di lestofanti che si conta in ogni altra, dai ciabattini ai poeti laureati.
La malefatta dei “baroni” è nuovamente assoluta. Consiste nella loro stessa esistenza. Vanno tolti di mezzo. E i luoghi dove si annidano vanno bonificati.
C'è tuttavia una differenza rispetto a quel passato. Stavolta “baroni” non ricorre sulle bocche e negli striscioni dei “sovversivi”, sospettati anzi di essere oggi in combutta coi “baroni”. Ricorre nell'espressione di rappresentanti del potere politico-mediatico. È sufficiente aprire un giornale e accendere la TV per averne prova: “Basta con i baroni”, gridano in coro.
L'illusione lessicale ci fa ritenere una parola sempre eguale a se stessa. Si concede al massimo che cambi nei tempi lunghi della storia e quaranta anni potrebbero essere un'inezia. Ma non è così. Una parola cambia invece anche istante dopo istante, in funzione del discorso in cui sta e di chi se ne sta servendo.
Un vice-ministro, un esponente del governo-ombra, il direttore di un telegiornale che, nella loro espressione pubblica, si riferiscono a chi ha raggiunto il gradino più alto nella funzione di docente chiamandolo “barone” dicono una cosa completamente diversa da quella che direbbe al megafono un redivivo studente sovversivo, se adoperasse la stessa parola incitando i suoi compagni di studio a una manifestazione di piazza.
Sulla bocca di chi ha potere, sulla bocca di chi serve il potere e usa demagogicamente “barone” con derisorio spregio, la parola rischia di tornare, come per incanto, ai suoi fasti etimologici. Invisa a imbecilli e lestofanti, comunque mascherati e a qualsiasi categoria appartengano, rischia insomma di tornare a valere semplicemente 'uomo libero'.
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