"Propongo un esperimento mentale. Immaginiamo che qualcuno ci offra l'alternativa tra: A: vivere fino a centovent'anni, in perfetta salute e giovinezza, una variante di Dorian Gray, ma essere dimenticati da tutti un secondo dopo la nostra morte, e B: vivere sino a settant'anni, magari anche con degli acciacchi, ma in modo tale che tutte le nostre tracce (i ricordi che abbiamo lasciato di noi, i nostri eventuali scritti eccetera) sopravvivano per un tempo ragionevolmente lungo, anche se non necessariamente così lungo come quello che ci separa dal momento in cui la terra finirà dentro al sole, perché a quel punto avremmo a che fare con umanità troppo diverse da noi. Immagino che molti sceglierebbero, con me, la soluzione B. E credo che chi lo facesse avrebbe almeno in parte imparato a morire, cioè, forse, a vivere con filosofia".
Una nota gazzetta settimanale di libri e cultura ha di recente pubblicato queste note di Maurizio Ferraris, che Apollonio non conosce personalmente. Non sa che faccia né quanti anni abbia. Sospetta sia un molto reputato filosofo italiano d'oggidì, per averne letto più volte il nome nelle pagine dedicate alla filosofia di quella gazzetta, che d'ogni ramo del sapere sceglie come collaboratori specialisti reputati, le cui opere sono destinate a essere ricordate. Così Ferraris pare del resto presumere delle sue, ponendo addirittura la questione in termini di tempi astronomici.
Memore di vecchie parole di suo padre, Apollonio lancia adesso un appello e propone un gioco ai suoi due lettori, a proposito di ciò che scrive Ferraris.
Ecco più o meno cosa disse un giorno ad Apollonio il padre, che non faceva il filosofo ma l'odioso mestiere di esattore delle tasse, come Matteo. Le affermazioni sul momento in cui preferirebbero uscir di vita, che si colgono sovente sulle labbra degli umani, sono uno dei modi con cui la loro supponente cretineria presume di farsi nobile e bella. A venti anni, molti ti diranno che, godute le gioie della giovinezza, saranno pronti a morire a quaranta. A quaranta che, prodotti i frutti maturi dell'età adulta, saranno pronti a morire a sessanta. A sessanta che, dato al mondo il contributo della loro saggezza, saranno pronti a morire a ottanta. Più avanti, ai tempi dell'aneddoto, era improbabile si pensasse di andare e la salvifica demenza senile, nelle eccezioni, interveniva a riparare i danni della cronica stupidità umana, almeno quanto a dichiarazioni del genere.
Ebbene, Apollonio non sa quanti anni abbia il filosofo Maurizio Ferraris. Scommette però coi suoi due lettori che, dichiarando che settanta anni gli sono sufficienti, egli ne abbia, oggi, circa cinquanta. E se c'è qualcuno che può in proposito dargli notizia certa, Apollonio lo invita a farlo. Fidando in quell'insegnamento paterno, scommette insomma che il momento in cui il filosofo Maurizio Ferraris dichiara nobilmente che preferirebbe morire, lasciando all'umanità il legato della sua opera memorabile, non è proprio per domani.
PS. Al modesto ex-esattore delle tasse l'idea della morte, peraltro, risultava e ancora risulta indigesta: forse perché sapeva e sa che è difficile che si possa contare sui richiesti canonici venti anni per accostumarsi "filosoficamente" a essa e che, in ogni momento della vita, può accadere d'improvviso di doversene fare una ragione (e talvolta, neanche quella).
Maurizio Ferraris nasce a Torino il 7/2/56. Ha, dunque, appena compiuto i 53. Scommessa vinta.
RispondiEliminaGrazie, caro lettore anonimo: consola sapere che qualche criterio di orientamento, nella vita, funziona e che serve a capire di che stoffa gli esseri umani siamo fatti, anche quando ci atteggiamo a filosofi. Colpa di Apollonio se per comparire sul blog il suo commento ha messo tre giorni: capita anche a lui, purtroppo, di allontanarsi dai suoi ozi.
RispondiEliminaIl ritardo con cui commento questo post non diminuisce il mio divertimento nel leggerlo. Grazie Apollonio per questa pillola effervescente che fa meno male della caffeina e ha migliori effetti.
RispondiEliminaPs
Con piacere, scopro oggi questo blog del prof, il quale,ricordo, metteva alla prova la mia concentrazione parlando di Ivo, Ada e Pia, delle relazioni e delle differenze nella lingua. La cornice erano i seminari senesi di alcuni anni fa, nella cosiddetta Sala Rossa.
Ci son temi che non deperiscono, amabile Lettore (o Lettrice). Grazie del ricordo di giornate piene di calde, confortevoli e gustose furie.
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