30 settembre 2013

Cronache dal demo di Colono (16): Cambiare e raccontarsela, di nuovo

Sapendolo amatore (oltre che futile indagatore) d'inezie e cultore della chiacchiera a tempo perso, riferisce ad Apollonio il suo alter ego di uno scambio comunicativo intervenutogli qualche settimana fa. 
Da buon vecchietto, in estiva attesa mattutina, col suo mezzo meccanico da ragazzino, davanti alla saracinesca chiusa d'una officina (l'usuale, per gli usuali annuali controlli), al sospirato momento dell'apertura apprende da un addetto che la ditta serve adesso altre marche e non la sua. Deve quindi andare altrove - e lì l'onest'uomo menziona appunto un nuovo indirizzo, per concludere, moraleggiando alla Tancredi Falconeri: "Eh be', le cose cambiano".
Sì, cambiano. L'hanno sempre fatto e non c'è chi non lo sappia: "Dice Eraclito che tutto si muove e nulla sta fermo". Ma forse non cambia per nulla l'aria del tempo (ed è forse per questo che puzza) se, parlando dell'ordinario trasferimento di indirizzo di un servizio di meccanica, nella più piatta e banale delle conversazioni, adesso capita di sentire fare, del feticcio mistificatorio del cambiamento, l'oggetto di un'affermazione ideologica. Che, insomma e di nuovo, senza pace e fin nelle sciocchezze, s'osservi ovunque l'impellente bisogno di raccontarsela.  

28 settembre 2013

27 settembre 2013

Farse in due battute (13)




- La Sua idea non tiene, Signor mio. È pericolante come l'intero condominio. Le tocca abbandonarla al più presto.
- Fa tutto facile Lei! È la sola che abbia. Sapesse la fatica per venirne in possesso...

25 settembre 2013

Linguistica candida (6): Ombra e luce sul Lago Lemano

Non c'è essere umano che non nasca linguista: fuori degli accidenti, in breve tempo, per via della predisposizione a analisi e sintesi implicite della sua esperienza, è non solo in grado di cogliere le pertinenze, le relazioni e le differenze che fanno una lingua ma anche di maneggiarle a suo modo (c'è chi ha detto "creativamente"). È anche in grado (cosa di norma sottaciuta) di esprimersi  al loro riguardo, di esprimersi sulla lingua; non necessariamente in modo manifesto, anzi raramente in modo manifesto: nel suo foro interiore.
A una disciplina consacrata alla lingua forse toccherebbe allora solo d'assecondare le poche, tra tali creature, inspiegabilmente destinate alla preservazione, come talento, dell'universale facoltà. Preservarle sulla via di una consapevolezza nutrita da una dottrina ampia ma mite: niente linguista, insomma, sans locuteur
Sans locuteur, niente linguista di qualsiasi lingua, si badi bene: nemmeno della solo ipotizzata (o forse solo immaginata) e preistorica dal mito della quale una guisa della disciplina è sorta ed è stata ispirata. Sta lì d'altra parte la vera difficoltà di simili studi: nello sforzo, nutrito di competenze filologiche (fin dove queste possono spingersi), di farsi (o di restare) locuteur anche d'una fantasia. Per proporsi come credibile, questa deve avere, persino nel poco che si riesce a immaginarne, i caratteri pertinenti dell'espressione umana e non quelli fantasmatici di una cruda applicazione di etichette terminologiche. 
Sul Lago Lemano si proietta l'ombra di un gigantesco picco del nascente Moderno: Jean-Jacques Rousseau. E solo la spezzata esplosione (o implosione?) di un baleno della tempesta del Moderno maturo, Ferdinand de Saussure, vi ha gettato, sul tema, raggi di luce incerta. Procedere sulle rette di quei raggi, senza perdersi in un'ombra di cui è peraltro impossibile negare l'esistenza: ecco quanto prova a fare Apollonio. E, gli riesca o no, spera (o s'illude) di non fraintendersi e di non essere frainteso.

[Alla perplessità d'un amico che è tale per generosa xenofilia]   

24 settembre 2013

Insegnare

C'è chi insegna prendendosi sul serio: da caporale, e con la speranza (modesta e, a dire il vero, remota) di diventare un giorno sergente.
C'è chi lo fa invece sorridendo di sé: per cominciare, non se ne crede capace; nutre poi il dubbio che serva veramente a poco: tutto ciò che un essere umano vale la pena sappia per essere tale, in effetti, c'è qualcuno che possa mai insegnarglielo?
Chi vive la seconda condizione ha allora ogni giorno da temperare con modi d'imbonimento un destino di strega-apprendista o d'apprendista-stregone. C'è anzitutto da salvarsi la vita, come si dice; una mera necessità materiale suggerisce di conseguenza l'adozione di quei modi da commediante.
Il destino capita, invece, come ogni destino. Con mitezza, lo si può solo assecondare. E attendere con diffidenza rassegnata e paziente che, imprevedibile, monstrum vel prodigium, qualcosa sorga dall'amatissima broda dell'umano pentolone nel quale l'insegnante finisce sempre a capofitto: buffa imperizia di chi, nato o nata apprendista, cioè discente, per restare ciò che è, ha accettato il rischio di passare persino da docente.

[A un amico, che s'avvia a una perigliosa carriera]

23 settembre 2013

Linguistica candida (5): FdS, a cento anni dalla morte





C'è chi dice, guardandolo in prospettiva, sia stato un neogrammatico con gravi disturbi del carattere; c'è chi, retrospettivamente, un dottorando del MIT incapace di portare a compimento la sua tesi.

Cronache dal demo di Colono (15): La grande bellezza

Non tanto per ciò che narra (enunciato) quanto piuttosto per come lo narra (poetica ed enunciazione), opera che impeccabilmente rappresenta l'odierno stato sentimentale (se non morale) d'una nazione che la mitizzazione del passato ha reso pateticamente nostalgica e l'eccesso di furbizia rovinosamente ingenua.

22 settembre 2013

Linguistica da strapazzo (20): Metalinguistica ed epilinguistica





"Lingua è un dialetto con un esercito e una marina" ed è lecito il sospetto che metalinguistica sia un'epilinguistica con una cattedra universitaria e una rivista.

20 settembre 2013

A frusto a frusto (72)





"Colpa mia": rara fanfaronata d'irresistibile simpatia.

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Linguistica da strapazzo (19): Parafrasi

Ad Apollonio il suo alter ego gira una lettera, incaricandolo d'una risposta. Felice d'averla ricevuta, si dice, e grato al mittente, ma incapace di uscire dal torpore e di vincere la sua pigrizia. Apollonio, di buon carattere, volentieri obbedisce, irresponsabilmente lieto dell'occasione di tirar fuori uno dei suoi sconclusionati pistolotti.
"Qualche giorno fa [si legge nella lettera] c'è stata discussione in classe sulla frase Dopo le 19 in TV trasmettono un telefilm. Il problema è quanti e quali sono gli argomenti del verbo trasmettere? Altrimenti detto: su chi "opera" questo verbo? Nessun dubbio per un sottinteso loro e per un telefilm. Quanto a in TV dove lo mettiamo? Io lo avrei messo fuori dal nucleo, tra quelli che abbiamo chiamato i circostanti. Loro, i miei alunni di me più sagaci, dentro. Perché, e qui il prof da quattro soldi [così, di se stesso, l'autoironico e simpaticissimo corrispondente] forse ha spiegato male, se si realizzasse una possibile scenetta della frase la TV sarebbe un elemento indispensabile della scena, altrimenti il film non andrebbe trasmesso. E così mi hanno convinto, e, siccome loro sono molto concreti, ho detto che non [l']avrei considerato errore in un eventuale compito in classe (forse l'unica ragione per cui si va a scuola: un numero scritto a casaccio su un foglio capace di suscitare gioia o tristezza o, nei casi più fragili, lacrime). Lei, o (nel senso della congiunzione) Apollonio, che ne dice?".
Come sempre, quando si tratta di lingua (solo di lingua?), bisogna procedere osservativamente per comparazione e differenza, se si vuol provare a capire qualcosa. Sul banco di prova, si pongano allora la menzionata Dopo le 19 in TV trasmettono un telefilm e, per contrasto, Dopo le 19 in giardino bevono un aperitivo. Paiono due proposizioni parallele, quanto a funzioni sintattiche, quanto cioè a quei rapporti che ne determinano interpretazione e forma. L'apparenza però inganna e nel caso specifico non è difficile smascherare l'inganno e, per comparazione e differenza, avere un'immagine meno perturbata della circuiteria funzionale interna delle due proposizioni. 
Dopo le 19 la TV trasmette un telefilm è parafrasi perfettamente naturale e priva di qualsiasi marcatezza stilistica o contestuale della prima. Ciò che si presenta come un "circostante", dice allora tale relazione parafrastica, può cambiare facilmente d'abito e prendere così proprio la funzione di quel "sottinteso loro" che, di comune accordo, discenti e docente hanno visto nel "nucleo" e trattato da "argomento". 
Trovare una ragione di questa circostanza funzionale nella scenetta non è forse ineccepibile, dal punto di vista del rigore del ragionamento. Nella sua finzione, la scenetta sarebbe realtà e la lingua, della realtà, ammesso che una realtà, tale e quale, ci sia, fa ciò che le pare: se così non fosse, il problema della verità non si porrebbe e gli esseri umani si troverebbero piombati ipso facto all'inferno o ascesi al paradiso. Nella scenetta si coagula però la buona intuizione linguistica e relazionale dei discenti (e complimenti al docente, per i suoi discenti e per la sua apertura di spirito): senza TV, come potrebbe mai essere trasmesso il telefilm? È appunto la TV che lo trasmette.
Va così anche nel secondo caso? Non esattamente. Anche Dopo le 19 il giardino beve un aperitivo può valere come parafrasi di Dopo le 19 in giardino bevono un aperitivo ma a una condizione: il giardino, metonimia su base locativa, va preso come 'coloro che si trovano in giardino'.  In tal senso, la potrebbe proferire, per es., il maggiordomo d'una ricca residenza, rivolgendola a un cameriere durante le fasi organizzative di un ricevimento. Diversamente, essa va tenuta come molto bizzarra. Escluso il rapporto parafrastico con Dopo le 19 in giardino bevono un aperitivo, nella sua ovvia interpretazione, Dopo le 19 il giardino beve un aperitivo può essere un modo metaforico per dire, poniamo, che dopo le 19 si provvede a una prima innaffiatura di un giardino così caro, a chi proferisce la poetica espressione, da volerselo raffigurare per traslato come un essere umano. Insomma, dal mutamento viene fuori stavolta, e in ogni caso, una marcatezza stilistica e contestuale che l'osservazione non rileva nel primo caso. 
La prova di torsione (la si chiami così, se si vuole, con grossolana metafora meccanica) è la medesima; i risultati sono diversi. Ragionevolmente, la diversità è da attribuire al fatto che essa è stata applicata a sistemi diversi e che la diversità tra i due sistemi-proposizione si annidi proprio nel rapporto diverso che in TV e in giardino intrattengono rispettivamente con i soggetti di trasmettono e di bevono. Nel primo caso, un rapporto che si configura predicativamente come un'identità; nel secondo, quello della determinazione del luogo sul quale insiste la relazione del soggetto e del predicato. 
Nel gioco delle diverse forme disponibili per le funzioni, la distinzione grammaticale tra "argomenti" e "circostanti" non riesce a cogliere (o riesce a cogliere solo parzialmente) queste diversità? Dall'eventuale fallimento descrittivo, la lingua non è minimamente toccata. Essa funziona alla perfezione, come un sistema spaventosamente plastico. Non c'è costrutto concettuale destinato a contenerla da un grammatico (anche il più geniale) che non sia invece rigido; perciò disposto a crepe e perdite. 
L'unica via, per chi ama la lingua e vuole provare a capirla e a farla capire, è quindi di assecondarla e, se ci si riesce, di far dire a lei medesima qual siano i modi con cui si organizza. Farla parlare, la lingua, è però difficilissimo. Paradosso? Sarà pudore, sarà malizia, sarà omertà, nessuno lo sa. La lingua tace. Apollonio sospetta se la rida, delle sciocchezze sue e di tutti i grammatici. 
Certo, si può provare a renderla un po' meno taciturna. Nel caso prospettato, per farlo, si è messo a frutto, molto alla buona, il metodo della parafrasi: naturalmente, parafrasi controllata e sperimentata in atmosfera per quanto si può sterile (per continuare a mescolare metafore d'ogni genere). 
Con l'approssimazione delle procedure umane (ce ne sono altre?), un metodo del genere fu messo a punto anni fa da un tal Zellig Harris (uno il cui massimo merito, per chi se ne intende, sarebbe invece d'avere fatto da battista a Noam Chomsky). Or sono sette lustri, Apollonio ne fece indisciplinata pratica (come è stato sempre suo costume) andando a bottega da un tal Maurice Gross, ingegnere, per rubargli un po' di mestiere. Da Harris, costui era stato a bottega, col medesimo intento, qualche anno prima. 
Ciò precisato, si spera, il pigro alter ego di Apollonio, ricevuto il servizio, non dirà, spregiandolo, che il frustolo, sciocco e pressappochista, non ha nemmeno il pregio d'uno straccio di bibliografia, per un rinvio utile, almeno esso, ai soliti cinque lettori: molto pazienti, se giunti a questo punto.

17 settembre 2013

A frusto a frusto (71)




Suvvia! È Buna-Monowitz o, magari, Donnafugata. Insomma, il marcio c'è ma resta, com'è opportuno che resti, in Danimarca.

8 settembre 2013

Trucioli di critica linguistica (10): Raccontarsela


Quando raccontarsela sia venuto fuori, come verbo particolare, nell'espressione italiana, coi valori che ogni parlante oggi saprebbe assegnargli e che son quelli di una coscienza, della propria esperienza di vita, falsa, imbonitrice e consolatoria, Apollonio non sa. Né ha voglia, adesso, di mettersi a cercare di saperlo. I dizionari che ha sottomano non lo registrano e ha il sospetto che sia finora sfuggito anche agli occhiuti raccoglitori di parole nuove, magari con ragione, perché nuovo, raccontarsela, può darsi non sia: può darsi che, su bocca italiana, viaggi da tempo. 
Nuovo gliene pare, in ogni caso, l'uso ampio e diffuso: quella sorta di coagulo concettuale, di fresco emergere alla luce (senza che ne consegua ovviamente consapevolezza) che frequenza e popolarità d'una forma lessicale finiscono per attribuire a un'attitudine. Certo, questa esiste da sempre ma, designata ossessivamente da una parola specifica, è come se rinascesse. 
Il caso, peraltro perverso, di gattopardo è esemplare, in proposito. Non che prima i gattopardi non ci fossero: ma l'uso, anche a sproposito, della parola ne ha lucidato e fatto brillare l'esistenza. E, allo stesso modo, non che prima non ce la si raccontasse, ma adesso, che raccontarsela c'è e dappertutto, è appunto tutto un lampante raccontarsela.
L'annuncio in esordio mette sotto forma pubblicitaria (ed emblematica) raccontarsela: nel modo opportuno (né moralmente censurabile) del ciarlatano. Esso vende un futuro (per sua natura, a dir poco, ipotetico) come fosse un passato già da narrare, museale e, naturalmente, nelle forme del mito: addirittura, con l'uso di arcani passati remoti e di meno strani imperfetti. Lo vende così perché a comprarlo ("ragazzi", maschile, per ovvie ragioni: eterni bambini) c'è chi, anzitutto, vuole raccontarsela. Chi è disposto a prestare l'intera sua fede al futuro finale sarà, una volta che una maestrina tecnologica, in un contesto ovviamente più fantasy che fantascientifico, gli abbia propinato in esordio un fu, come chiave per raccontarsela. 
Epoca divertente, infatti, la presente, e di chiara perdita, dietro le pompe ideologiche di chi la sta raccontando e se la sta raccontando, di molti lumi di elementare ragionevolezza. Narrando provocatoriamente il futuro, nel Moderno, la cosiddetta fantascienza non la raccontò né se la raccontò. Fece semmai il contrario. Oggi, putrefattosi il Moderno, anche quanto al futuro, come lascia intendere (involontariamente?) l'annuncio, con la quasi disperata certezza che degno di narrazione ci sarà poco, come sempre poco c'è stato e c'è, non resta appunto che raccontarsela.