"Li abbiamo asfaltati!", "Se non si fa attenzione, alla prossima occasione ci asfaltano"... Espressioni comuni, da qualche tempo, con eventuali variazioni di diatesi, di modi, di tempi. Tanto comuni che Apollonio, sulle prime, era stato tentato di aggiungere il presente frustolo alla serie "Lingua loro".
Difficile dire chi sia stato il coniatore della metafora (ché, ragionevolmente, di metafora si tratta). Essa ha tutta l'aria di venire dall'ambiente sportivo, però, come commento, nel primo degli esempi sopra menzionati, a uno di quei risultati che un dì venivano designati (e non per metafora, ma per prestito) come cappotto. Asfaltare qualcuno, come l'ormai datato dargli, fargli cappotto, vale come 'riportare su qualcuno una vittoria sonora e indiscussa, a conclusione di un confronto in cui l'avversario non ha reagito o, reagendo, non ha concluso nulla': nel calcio, da 4 a 0 in su, insomma; forse, già 3 a 0, restando al 2 a 0 l'attribuzione, per rispetto della misura e di un canone, di vittoria classica, col più classico dei punteggi (con varianti come vittoria rotonda, punteggio rotondo, estensibili invece, secondo il bisogno, a una vasta gamma di esiti).
Dallo sport, in tempi ancora più recenti, questo asfaltare è venuto a infiorettare la lingua della politica, delle competizioni elettorali e dei suoi campioni. Nulla di strano: accade periodicamente; e da qualche decennio con intensità. Ci fu chi disse anni fa, per es., che "scendeva in campo" e ci fu chi, facendone oggetto di profonde riflessioni morali, disse, tra approvazioni e clamori, che il suo accesso all'agone politico comportava un movimento opposto. Poi a scendere fu (o magari sarà) il silenzio e a salire l'ombra della sera.
Un tempo, a far da culla delle metafore della politica, era talvolta la lingua della guerra. Che sia ora quella dello sport o di quella sezione del mercato dell'intrattenimento che passa oggi per sport potrebbe non essere un cattivo segno: il sangue, magari, è solo sugo di pomodoro o, caso mai fosse veramente sangue, è bene che i cetrioli lo prendano per pomodoro, perché l'importante non è che sia sangue o pomodoro, ma che non si percepisca più la differenza tra sangue e pomodoro. Il Cielo preservi Apollonio, però, dall'insistere su simili divaganti moraleggiamenti. L'oggetto del frustolo, del resto, è altro. E se è, come si vedrà, una delle sue solite sciocchezze, ha forse il pregio di non essere una trita ovvietà, come è sempre il biasimo dei tempi (che infatti non è mai mancato).
Malgrado suoni esattamente come il comune asfaltare (quello che chi vuole può trovare in ogni dizionario), l'asfaltare che sta oggi sulla bocca di chi, facendo politica (o sport), sa comunicare alla gente ne è infatti funzionalmente molto differente. E la differenza non consiste tanto nel senso proprio del primo e nel figurato del secondo. Consiste invece essenzialmente nel diverso tipo di funzioni sintattiche e di ruoli semantici che i due asfaltare legittimano. Roba, insomma, da fini amatori della lingua.
L'asfaltare comune, quello dei dizionari e di chi lavora mettiamo alla Autostrade d'Italia o all'ANAS (ma esiste ancora, l'ANAS?), ha come oggetto diretto la superficie sulla quale l'asfalto si trova, alla fine del processo, a essere steso: si asfalta una strada, insomma, come si intonaca una parete o si imburra una fetta biscottata.
Il nuovo asfaltare, che i lessicografi non hanno ancora registrato, ha al contrario come oggetto diretto non la superficie ma chi, per metafora, come appunto accade all'asfalto nell'uso non traslato, viene steso sulla superficie: nel caso specifico, figura o no che sia, a terra, al suolo.
Asfaltare un avversario politico (o sportivo) non è insomma stendergli sopra del metaforico asfalto ma stenderlo al suolo, come si fa con l'asfalto, ridurlo alla figurata condizione di asfalto.
Quanto a classe lessico-sintattica, questo secondo asfaltare non si trova di conseguenza in compagnia di intonacare o di imburrare, come il primo e originale, ma in quella di tritare, per es., o anche di annientare: asfaltare qualcuno è farne dell'asfalto, come farne un trito o un niente. Si pensi, in proposito, all'espressione idiomatica far polpette di qualcuno, che deve al puro capriccio degli accidenti lessicali il fatto di non avere a compagna l'espressione verbale polpettarlo (ma, appunto, non si sa mai).
Che poi, in Italia, chi si preoccupa tanto di asfaltare gli avversari politici e di non venirne asfaltato si curi pochissimo invece di (fare) asfaltare adeguatamente le strade percorse dai suoi potenziali elettori (come forse dovrebbe, per primo ufficio) è questione che travalica le appunto inutili competenze grammaticali di Apollonio: sul tema, ogni eventuale commento è di conseguenza sospeso.
[Il primo marzo del 2019, il tema è stato ripreso dal sito dell'Accademia della Crusca.]
[Il primo marzo del 2019, il tema è stato ripreso dal sito dell'Accademia della Crusca.]
Bellissimo!
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