23 marzo 2015

Lingua nel pallone (7): "Fare a sportellate"

Dal resoconto giornalistico di una partita giocata ieri: "Mancini inserisce Palacio, mentre Icardi fa a sportellate". Da alcuni anni, le attestazioni della locuzione nelle cronache calcistiche sono frequenti: Apollonio non saprebbe precisare con esattezza la data del suo esordio né l'auctor cui va attribuita, ma è ragionevolmente certo che si tratti di novità da collocare intorno al cambio di secolo, con ricorrenze crescenti e percettivamente rilevanti solo negli ultimi anni. 
Esemplata sul modello, produttivo, del fare a botte della lingua comune, fare a sportellate viene dalle cronache sportive automobilistiche, dove non ha valore metaforico: "«Nel campionato italiano la sportellata è ormai sistematica» osserva Pianta. «Dopo ogni gara dobbiamo sostituire i parafanghi e le porte anteriori a tutte le nostre macchine»". L'esempio, da un fascicolo della rivista Quattroruote del 1993, è l'unico che correda la relativa voce del Battaglia, che chiosa: "Urto con la portiera o con la fiancata di un'automobile in una competizione". Sempre un valore figurato, dunque, ma metonimico e non metaforico: da Pindaro in giù, non c'è resoconto di evento sportivo che non abbia natura intrinsecamente (e necessariamente) poetica.
Trasferita in ambiente calcistico (passando per il rugby?) con accentuata funzione poetica e codificatasi come metafora, ma ancora priva di registrazione lessicografica (se Apollonio non si sbaglia), la locuzione vale per una pratica di gioco, come si dice, maschia, in cui ci si contende il controllo del pallone non con la tecnica e in un confronto faccia a faccia ma, nella corsa affiancata, spingendo e spostando l'avversario soprattutto con spallate (ecco il facile innesco della metafora), o, in serrati corpo a corpo, provando ad abbatterne la resistenza con forza e impeto, senza per questo commettere falli di gioco.  
Si applica nel caso di giocatori particolarmente dotati sotto il profilo fisico: con difficoltà, per esempio, potrebbe essere proferita a proposito di Sebastian Giovinco, "la formica atomica". 
La locuzione è poi soggetta ad altre restrizioni d'uso che meritano forse ancora qualche cenno. Con sintassi assoluta, a sportellate fa infatti, di norma, un attaccante. Naturalmente fa a sportellate coi difensori della squadra avversaria, ma costoro non solo non accedono abitualmente alla funzione di soggetto della locuzione ma non sono nemmeno menzionati. Come nell'esempio d'esordio, insomma, Icardi e non, poniamo, Ranocchia fa assolutamente a sportellate. 
Un difensore può accedere alla funzione di soggetto. Lo fa però regolarmente in compagnia di un attaccante ("Bonucci fa a sportellate con Borriello": sempre a proposito di una partita giocata ieri) e in tal caso la locuzione può presentarsi, anche superficialmente, come simmetrica: Bonucci e Borriello hanno fatto a sportellate.
Apollonio tende a escludere che la metafora sia un indizio della progressiva ideologizzazione del gioco come procedura meccanica messa in atto da calciatori che funzionano come macchine. Vi vede al contrario una sorta di nostalgico residuo ideologico di un tempo che fu, come è sovente il caso dell'espressione poetica: da Omero in giù. 
Le macchine conseguenti col tempo presente non sono le automobili. L'automobile sa di Moderno maturo (cioè di un'epoca tramontata) e, pare ad Apollonio, la metafora fare a sportellate (che la contiene) la proietta, nel caso del gioco del calcio, verso l'immagine di una corazza guerriera, di uno scudo più che verso quella di un cieco automatismo macchinico.
Se sopra un prato verde e inseguendo un pallone qualcuno fa a sportellate, per gustoso e poetico bisticcio, è allora a tutti gli effetti un essere umano, che ovviamente ha solo per metafora sportelli con cui fare a sportellate.
Insomma, fare a sportellate dice di un uomo, si può forse azzardare fin qui e per così poco. Aiace Telamonio?

[Quasi un mese dopo, per una simpatica conferma: "...ma non è successo niente, solo cozzare di armature...", in una radiocronaca.]

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