22 maggio 2016

Cose (3): Jeans (e anima)

A sdrucire i jeans, un dì, era la vita. Al pari dell'anima: così Mogol in una memorabile canzonetta musicata da Mario Lavezzi.
Oggi, i jeans, li si compra già sdruciti: segno lampante dello spirito di un tempo che, nostalgico della vita, la simula e, simulatala, ne vende il feticcio.

16 maggio 2016

Professori e cantanti


C'è un indice comparativo lampante e indiscutibile dello scarso livello dell'odierna istituzione universitaria (in questione, è qui l'area delle discipline umanistiche). 
Il numero di cantanti che tengono lezioni accademiche è incomparabilmente più alto di quello dei professori universitari che cantano sul palco di Sanremo o di manifestazioni canore comparabili. 
Se Apollonio non si sbaglia, al momento, questo è eguale a zero (non è così invece per i professori di scuole superiori, uno dei quali ha persino vinto, e meritatamente, il famosissimo festival, con una canzonetta-fervorino). 
Del resto, gli inviti a  fare da professori rivolti ai cantanti si moltiplicano e i loro interventi sono tutti accompagnati da successi strepitosi: così riferiscono cronache entusiaste. Ciò significa che i cantanti sono perfettamente capaci di far lezione. Meno, di certo, lo sarebbero i professori universitari di cantare in pubblico. 
Il dato è eloquente: c'è una diversa serietà nei due mestieri, come fin qui sono stati concepiti in modo un po' statico. Essi richiedono un tasso diverso di professionalità e un impegno differente. E non è il caso di precisare da quale lato la bilancia riveli i valori maggiori. 
È giusto di conseguenza che sempre più spesso si lasci la cattedra ai primi, che richiamano peraltro nelle aule folle osannanti, e che la scena sia al contrario inibita ai secondi, sui quali, provassero a cantare, pioverebbero fischi. 
Di più: per riparare alla disparità osservata in esordio e per innalzare il livello dell'istituzione universitaria (sempre, naturalmente, in funzione delle discipline umanistiche) sarebbe ormai opportuno non solo che i cantanti (e i comici e l'altra gente di spettacolo) fossero incoraggiati a partecipare alle cosiddette valutazioni comparative per posti di professore di università, ma anche che ne risultassero vincitori in numero sempre crescente. Solo così, infatti, si potrebbe finalmente ottenere il giusto equilibrio, nell'aula e sul palco, tra cantanti professori e professori cantanti. 

14 maggio 2016

The Secret Sharer

"Considérée à n'importe quel point de vue, la langue ne consiste pas en un ensemble de valeurs positives mais dans un ensemble de valeurs négatives ou de valeurs relatives n'ayant d'existence que par le fait de leur opposition".
Per la linguistica, sono parole aforistiche. Proprio nel senso di definitive. Proprio nel senso che ne tracciano l'orizzonte. 
Caveat lector, tuttavia. Questo frustolo si apre con parole di Ferdinand de Saussure, ma esula dalla saussurologia. La saussurologia è una bizzarra e ancora innominata disciplina cresciuta come una muffa (e come una fuffa?) intorno al linguista ginevrino. Nell'anno in corso, anno centenario del Cours de linguistique générale, essa sta rinnovando i suoi fasti.
A questo frustolo è invece estranea l'enigmatica figura di nobiluomo e di professore di università sulla quale, in un secolo, si è scritto a fiumi; di recente, persino da una prospettiva psicoanalitica. Non vi si evoca il geniale indoeuropeista, rapidamente incapace (anche forse per delusioni accademiche) di tenere fede alle promesse di un esordio fulminante. Non ci si accosta, d'altra parte, all'introverso ma affascinante maestro della scolaresca dai cui appunti sorse l'apocrifo diffusore del suo nome in giro per il mondo. Si trascura l'ermetico teoreta il cui pensiero è oggetto di attenzione da parte di filosofi, storici e grammatici. Si tace infine sullo scrittore "intransitivo" della montagna di carte frammentarie e private le cui cave alimentano nuove e controverse pubblicazioni.
Questo frustolo, insomma, non ha per protagonista Saussure. È dedicato invece al secret sharer del piccolo e personale laboratorio di ricerca (di sé?) che chi scrive manda avanti da nove lustri. Qual sia il suo vero nome, nel laboratorio, non si sa. Vi passa per Ferdinand e così accetta di buon grado d'essere chiamato. I non pochi anni di consuetudine hanno del resto reso da tempo non inappropriato un reciproco tu.
Ferdinand è taciturno. Osserva discreto ciò che si fa nel laboratorio. Di chi è intento all'opra in quell'officina, pare gli interessi anzitutto "ce qu'il fait". Non si tira mai indietro, però, quando gli si chiede consiglio. Tiene in una modestissima saccoccia qualche utensile sintagmatico e paradigmatico. Se lo vede necessario, lo mette generosamente a disposizione, senza perdersi in chiacchiere. Del resto, il suo tratto è amabilmente semplice. Come le sue idee: rapporto, differenza, sistema.
È insomma un delizioso compagno segreto, Ferdinand. Apollonio non lo cambierebbe con nessun altro. D'altra parte, dopo tanti anni, del suo silenzioso conforto, del suo distante calore non saprebbe più fare a meno. 

1 maggio 2016

Linguistica candida (36): Parole nel cervello




Sarebbe una notizia, caso mai, la scoperta che la gente ragiona coi piedi. Ma forse la notizia è proprio questa.

Variantistica (1): Coraggio o telecamera posteriore?



Di questo annuncio, circola adesso una variante:




Occasionate forse da variazioni nel budget (la durata della seconda è di un terzo minore di quella della prima), ma costruite con ingegnosa modularità (come è da tempo normale per questo tipo di annunci), le due varianti hanno il pregio, per il committente, di rivolgersi allusivamente a due targets diversi e la loro differenza per sottrazione, qualunque ne sia il pretesto, è perfettamente coerente con la tendenza e prende senso in funzione del genere.