C'è un indice comparativo lampante e indiscutibile dello scarso livello dell'odierna istituzione universitaria (in questione, è qui l'area delle discipline umanistiche).
Il numero di cantanti che tengono lezioni accademiche è incomparabilmente più alto di quello dei professori universitari che cantano sul palco di Sanremo o di manifestazioni canore comparabili.
Se Apollonio non si sbaglia, al momento, questo è eguale a zero (non è così invece per i professori di scuole superiori, uno dei quali ha persino vinto, e meritatamente, il famosissimo festival, con una canzonetta-fervorino).
Del resto, gli inviti a fare da professori rivolti ai cantanti si moltiplicano e i loro interventi sono tutti accompagnati da successi strepitosi: così riferiscono cronache entusiaste. Ciò significa che i cantanti sono perfettamente capaci di far lezione. Meno, di certo, lo sarebbero i professori universitari di cantare in pubblico.
Il dato è eloquente: c'è una diversa serietà nei due mestieri, come fin qui sono stati concepiti in modo un po' statico. Essi richiedono un tasso diverso di professionalità e un impegno differente. E non è il caso di precisare da quale lato la bilancia riveli i valori maggiori.
È giusto di conseguenza che sempre più spesso si lasci la cattedra ai primi, che richiamano peraltro nelle aule folle osannanti, e che la scena sia al contrario inibita ai secondi, sui quali, provassero a cantare, pioverebbero fischi.
Di più: per riparare alla disparità osservata in esordio e per innalzare il livello dell'istituzione universitaria (sempre, naturalmente, in funzione delle discipline umanistiche) sarebbe ormai opportuno non solo che i cantanti (e i comici e l'altra gente di spettacolo) fossero incoraggiati a partecipare alle cosiddette valutazioni comparative per posti di professore di università, ma anche che ne risultassero vincitori in numero sempre crescente. Solo così, infatti, si potrebbe finalmente ottenere il giusto equilibrio, nell'aula e sul palco, tra cantanti professori e professori cantanti.
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