"Senza fare i giganti | e giurarsi per sempre | ma in un modo o in un altro | sperarlo nel mentre": canta Marco Mengoni nella sua "Sai che". E c'è il rischio che Fortunato Zampaglione, il paroliere (deliziosa designazione di un mestiere, sulla quale Apollonio una volta o l'altra spera di tornare), sia stato il primo, nella storia della canzonetta italiana, non tanto a dare spazio alla locuzione "nel mentre", quanto ad assicurarle il rilievo che le conferisce la fine di un verso, in consonanza con "per sempre": significato e significante, si osservi, in quella rigorosa correlazione sintagmatica in cui il rapporto paradigmatico collassa, come voleva Roman Jakobson a proposito della funzione poetica.
Eppure, niente sembra più prosaico e dimesso, oggi, di "nel mentre". La sua storia non è però infame né comincia di recente. E quanto alla lingua della poesia, non è forse un caso che abbia a un certo punto incontrato Giovanni Pascoli. Ma stiano tranquilli i due lettori di Apollonio, non si vuole qui mescidare sacro e profano e a Zampaglione e Mengoni ci si tiene: di altro, poco o nulla si saprebbe dire.
E allora: "per sempre" e "nel mentre" sono due modi di prospettare il tempo, ché di tempo si tratta e, tutta intera, "Sai che", il cui ritmo di base ricorda quello del battito dei secondi, ha il solito conflitto di amore e tempo come tema principale (in linea di massima, a pretendere altro da una canzonetta ben fatta si fa giustamente figura di presuntuosi imbecilli).
La prima prospettiva è illimitata ma inesistente: "per sempre"; l'altra, "nel mentre", deve la sua esistenza precisamente ai suoi limiti: i limiti di "sperarlo", un "per sempre".
E i significati, con il loro sofisticato equilibrio, stanno in funzione di significanti composti, in ciascun caso, da tre sillabe che iterano regolarmente i loro profili di composizione. Chiuse le prime ("per", "nel") e le seconde ("sem", "men"), aperte le terze ma con un attacco composto da un nesso occlusiva-vibrante e, come apice, la medesima vocale ("pre", "tre").
Sul profilo vocalico dell'insieme si gioca foneticamente una sottile variatio ("per sèmpre", "nel méntre"), naturalmente dove, per via dell'accento, la differenza si fa pertinente e quindi può incrinare l'uniformità senza distruggerne l'evocazione. Con la vibrante, variata dalla liquida, l'intreccio coinvolge in modo saliente consonanti nasali.
Sono precisamente i valori consonantici della parola "amore" e chi ascolta con attenzione il testo nella sua interezza vedrà come vibrante e nasali lo marchino profondamente, dal punto di vista sonoro: "e tu resti alla porta | con l'amore che resta".
Del resto, quanto al conflitto tra amore e tempo, non è detto che l'ineluttabile vittoria del secondo significhi la disfatta del primo, "nel mentre" di una vita:
Dalla ormai non breve, attenta ed assidua frequentazione d'Apollonio e del suo Alter Ego - a che pro manifestar loro gratitudine e felicità? - una regola d'esperienza, stretta e chiara, la si può ricavare con tranquillità: quando enunciano nell'ordine del 'poco o nulla di altro si saprebbe dire' ovvero del 'non c'è modo d'escluderlo', a precorrerle tutte le implicazioni e le conseguenze c'è da coprirsi il capo per il terrore, ad occhi affissi verso altitudini indicibili.
RispondiEliminaApollonio ha invece da manifestare gratitudine al suo assiduo Lettore, felicità per l'attenzione che gli accorda e, se non terrore, certo inquietudine per il credito che gli viene accordato e che nessuno sa meglio di lui quanto sia concesso con benevolenza e immeritato.
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