L'esperienza è comune: come odori e sapori, ci sono espressioni che improvvisamente piombano chi le sente nel pozzo dei ricordi. Espressioni e parole hanno del resto odore e sapore: non c'è quasi bisogno di dirlo. Alcune puzzano di rinchiuso o di marcio, in altre si percepisce lo zolfo o il cloroformio, altre ancora olezzano fiorite. E poi ce ne sono di amare, di dolci, di sapide, di insipide, di succulente, di stucchevoli e di stomachevoli.
Scolaro, per me, ha odore e sapore e mi sbalza indietro nel tempo a più di trenta anni fa, e nello spazio, a Pisa, Istituto di Glottologia, Via Santa Maria 36. Vi sbarcavo con un modestissimo bagaglio alla fine del 1975, convinto (prova appunto di quella modestia) che scolaro ero stato un dì, con altri mocciosi siciliani, in più di un paesotto dell'Agrigentino, ma che, doppiata la boa della quinta classe elementare, fossi divenuto definitivamente studente: ricordo i miei farmelo presente, con l'aria severa di chi rammenta a un pivello l'onere di un ambito ruolo sociale. Studente, appunto, in attesa che il futuro mi dicesse cosa sarei divenuto per sorte e capacità.
Ebbene, anni dopo, giunto studente a Pisa da Palermo, per fuggire l'ombra lunga e minacciosa di una congrega accademica, "E lei, di chi è scolaro?" fu la prima domanda che mi si fece. E la risposta, credo, decise di me (ma ciò esula dalla presente storia).
Scolaro, per me, ha odore e sapore e mi sbalza indietro nel tempo a più di trenta anni fa, e nello spazio, a Pisa, Istituto di Glottologia, Via Santa Maria 36. Vi sbarcavo con un modestissimo bagaglio alla fine del 1975, convinto (prova appunto di quella modestia) che scolaro ero stato un dì, con altri mocciosi siciliani, in più di un paesotto dell'Agrigentino, ma che, doppiata la boa della quinta classe elementare, fossi divenuto definitivamente studente: ricordo i miei farmelo presente, con l'aria severa di chi rammenta a un pivello l'onere di un ambito ruolo sociale. Studente, appunto, in attesa che il futuro mi dicesse cosa sarei divenuto per sorte e capacità.
Ebbene, anni dopo, giunto studente a Pisa da Palermo, per fuggire l'ombra lunga e minacciosa di una congrega accademica, "E lei, di chi è scolaro?" fu la prima domanda che mi si fece. E la risposta, credo, decise di me (ma ciò esula dalla presente storia).
Scolaro di..., capii subito, era ben diverso da scolaro in assoluto (ciò che in giorni ancora non molto lontani ero stato): e non era detto fosse meglio. Anche perché, quando ero appunto in assoluto scolaro in quei paesotti siciliani, popolosi come assolati campi di grano ma stretti come gole montane, più di una volta, apparendo sconosciuto in un contesto umano, m'ero sentito apostrofare con un "E tu, a cu apparteni?", affettuoso o diffidente, variante, certo, meno elegante della domanda pisana ma più sincera.
Col suo talvolta implicito complemento, di cui studi successivi e una maggiore intelligenza dei fatti m'avrebbero chiarito la funzione grammaticale di soggetto, scolaro era parola-chiave del contesto umano in cui m'ero volenterosamente ficcato. Per capirlo bastava del resto frequentare tale contesto anche occasionalmente. Per qualche anno io lo feci invece regolarmente: cocciuto, mai assente ai seminari.
E se una scommessa del genere fosse possibile, scommetterei volentieri e sicuro di vincere sul fatto che, per molti decenni, la parola scolaro sia stata proferita in quelle stanze decine di volte al giorno.
Ricordo il palese godimento con cui le figure che vi svettavano ne preparavano l'apparizione nei loro discorsi, il gusto che trovavano nel pronunciarla, lo sciogliersi della parola nella loro bocca: una, la più importante, quella da cui scolaro eruttava senza posa, si atteggiava spesso a un bizzarro musino, che io trovai sempre enigmatico.
Col suo talvolta implicito complemento, di cui studi successivi e una maggiore intelligenza dei fatti m'avrebbero chiarito la funzione grammaticale di soggetto, scolaro era parola-chiave del contesto umano in cui m'ero volenterosamente ficcato. Per capirlo bastava del resto frequentare tale contesto anche occasionalmente. Per qualche anno io lo feci invece regolarmente: cocciuto, mai assente ai seminari.
E se una scommessa del genere fosse possibile, scommetterei volentieri e sicuro di vincere sul fatto che, per molti decenni, la parola scolaro sia stata proferita in quelle stanze decine di volte al giorno.
Ricordo il palese godimento con cui le figure che vi svettavano ne preparavano l'apparizione nei loro discorsi, il gusto che trovavano nel pronunciarla, lo sciogliersi della parola nella loro bocca: una, la più importante, quella da cui scolaro eruttava senza posa, si atteggiava spesso a un bizzarro musino, che io trovai sempre enigmatico.
E in quelle bocche scolaro si scioglieva in miele, se il riferimento era a se medesimi o ai propri, o in fiele, nel caso degli altri, di norma spregiati. Occasioni in cui, affiancata e connessa a scolaro, compariva abitualmente, accompagnata variabilmente da sorrisi o da accenti di sdegno, un'altra parola-emblema: somaro.
E così tra lo scolaro che, superata l'infanzia, mai più divenni e il somaro che ero e son rimasto (anche solo per il fatto di aver appunto sopportato, cocciuto e paziente, non lievi some) , trascorsi i miei anni pisani di studio.
E così tra lo scolaro che, superata l'infanzia, mai più divenni e il somaro che ero e son rimasto (anche solo per il fatto di aver appunto sopportato, cocciuto e paziente, non lievi some) , trascorsi i miei anni pisani di studio.
Oggi, vedendo ancora comparire in scritti ideati in riva all'Arno la parola scolaro, la lusinga della memoria mi illude di intendere e di assaporare meglio, per quel suo rimare con somaro e grazie alle misteriose e nascoste virtù esplicative delle forme, anche l'aspetto onomastico di vicende connesse e successive che m'è accaduto di vivere.
Testo saporito più di un'anguria. L'asino in quello somiglia al melone, frutto diabolico fratello della zucca che, come quest'ultima, si sa, può essere cotto, e non ha albero che lo porti. Cioè, l'uomo qualificato di asino meriterebbe l'appellazione di zucca se fosse femmina. Aspetto comunque un bis di ricordi sinestetici... Come vede il nostro scolaro la relazione tra coppia minima e sinestesia? Per quel che riguarda la politica universitaria, sono d'accordo che oggi ci troviamo nel regno, non della sinestesia che sarebbe la scienza ispirata, ma delle coppie minime... Rischiamo tutti di diventari studenti di XXX, e non più studenti delle verità e ancor meno di noi stessi.
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