12 agosto 2013

Linguistica da strapazzo (19): Le avventure del signor Homais. Prima parte

Ogni volta che se ne presentava l'occasione, il signor Homais era applaudito con prontezza o ...il signor Homais aveva applaudito con prontezza: due esempi qui costruiti ad arte e per esperimento, prendendo a pretesto una figura cui l'applauso e la sua ricerca si attagliano alla perfezione. 
Nelle due sequenze, è solo la differenza di ausiliare ad attribuire univocamente al signor Homais, nel primo caso, il ruolo, da lui graditissimo, dell'applaudito, nel secondo, quello dell'applaudente, non meno gradito e molto producente. Si tratta insomma di due costrutti che, da qualche millennio, i grammatici chiamano l'uno passivo, l'altro attivo (ma che sarebbe forse meglio considerare come non-passivo). 
Passivo e non-passivo o, se si vuole, attivo sono detti diatesi, cioè disposizioni della proposizione. Tra le due sequenze c'è così una differenza di diatesi, manifestata in modo cruciale dalla differenza di ausiliare: tutto il resto infatti è identico (o, forse meglio, così pare). Tra le due sequenze, c'è anche una differenza di tempo verbale: tenendosi sempre alla terminologia grammaticale, il costrutto passivo è all'imperfetto, il non-passivo al trapassato prossimo. 
Perché il risultato sia identico, infatti, non basta che l'insieme del predicato verbale sia fatto di un ausiliare e di un participio, come in apparenza è fatto in ambedue i casi: aveva applaudito, era applaudito. La somma d'un ausiliare e d'un participio non dà evidentemente sempre il medesimo risultato, perché possono essere diversi i loro valori. I valori dipendono dal tipo di ausiliare, dal tipo di participio e, a dirla meglio, dall'insieme sistematico in cui l'uno e l'altro, sommandosi, si trovano a ricorrere e si determinano. 
Restando alle apparenze, ...il signor Homais era apparso con prontezza somiglia certo più all'esempio con era applaudito che a quello con aveva applaudito. Quanto alla categoria del tempo, tuttavia, era apparso è trapassato prossimo come aveva applaudito e non imperfetto come era applaudito; e quanto alla diatesi, a differenza del passivo era applaudito, era apparso è non-passivo come aveva applaudito.
Ecco allora un buon esempio, tra i mille e mille, di quel dissidio sistematico (e per niente caotico) tra funzione e forma che i parlanti gestiscono alla perfezione, fin quando lo fanno inconsapevolmente. I tentativi di consapevolezza li mettono in crisi, invece, soprattutto quando tali tentativi sono ingenui. 
Parlanti e loro tentativi di capirsi sono in effetti ingenui se orientati dal pregiudizio (condiviso peraltro da non pochi specialisti) che, nella lingua (almeno nella lingua, se non nella vita), tutto ciò che pare identico deve esserlo e che, se non lo è, ciò accade per via di qualche capricciosa violazione dell'ordine dell'universo, probabilmente connessa con l'involontaria uscita degli esseri umani dall'Eden, a séguito di un noto primo incidente con lo scarto tra l'essere e l'apparire. 
Per la salvezza del sonno, bisogna allora che, a ogni costo (anche a quello della perdita dell'intelligenza), si provveda in tali casi, se non a un impossibile ripristino dell'uniformità (alla lingua poco importa di cosa pensano parlanti, grammatici e linguisti), almeno alla cieca imposizione di un'apposita norma: "Si fa così e basta: inutile farsi domande". Proprio il contrario dell'attitudine di ogni buon linguista da strapazzo.

11 agosto 2013

Linguistica candida (4): La nevrosi di Calvino

A chi gli chiedeva come mai non scrivesse in lingue diverse dall'italiano, Italo Calvino rispose una volta che, l'avesse fatto, gli sarebbe mancato quel rapporto nevrotico con la lingua che, indispensabile alla sua scrittura, si dava, per lui, solo con l'italiano.
Faccenda da letterato e da letteratura, potrebbe parere, che riguarda attività sofisticate come la scrittura. Attività linguistiche governate, secondo l'insegnamento di Roman Jakobson, dalla funzione poetica che, Apollonio l'anticipa (e lo confessa), c'è grande spasso a considerare una sorta di nevrosi, con i suoi lampanti aspetti ossessivi (ma appunto di ciò, forse, un'altra volta).
Invece, sollecitato a parlare di lingua e di sé, Calvino parlava, come sempre, di tutti. Il rapporto nevrotico con una lingua riguarda ogni essere umano e lo definisce. Per innesco casuale d'un ambiente, una lingua è di necessità quella con cui ogni essere umano comincia (e finisce) per parlare con se stesso: in quella che sentirà nevroticamente come la propria lingua. 
Propria, infatti, come bersaglio di una libido mai soddisfatta. D'una lingua, come d'una vita - che pure si dice tronfiamente la propria -, non è infatti mai possibile appropriarsene. 

5 agosto 2013

"Potere" (1)


"Puoi. Ma certo che puoi. Ti dico che puoi! Vuoi che tu non possa?": chi prevarica non ti priverà mai del permesso (e dell'illusorio potere) di fare ciò che gli torna comodo, con la fondata speranza che tu sia così sciocco da crederlo un privilegio o, ancor meglio, un diritto: il diritto di stare al suo servizio.

4 agosto 2013

Lingua loro (29): Negazione

"Se resti, non ci dai fastidio". L'alter ego di Apollonio se lo sente dire, ora è un paio di giorni, in un'occasione qualsiasi della sua vita. Apollonio ascolta e, per una delle sue solite incongrue associazioni, gli pare di intuire quale sia stato il fondamento biografico della teoria sulla negazione nell'analisi del testo elaborata, come si sa, da Francesco Orlando quaranta anni fa. Ancor prima di Freud e degli studi freudiani, tale fondamento fu (gli sembra di potere affermare) la buona educazione che chiunque abbia incrociato il critico palermitano riconosceva nel suo accuratissimo tatto.
Proprio quando si mente, come quando si dice la verità, del resto, bisogna avere garbo. Necessita così al mentitore o alla mentitrice la massima attenzione non tanto a ciò che afferma quanto a ciò che nega; alle presupposizioni che la negazione lascia nella sua scia e alle inferenze cui apre la strada.
Insomma, nell'occasione, con più difficile, piana e bella semplicità, Se resti, ci fai piacere sarebbe stata una falsità bene educata, al tempo stesso lampante e meno scoperta: come la letteratura, direbbe incongruamente Apollonio in memore e grato onore di Francesco Orlando. E se una falsità non è nemmeno educata, se una falsità mostra la sua trama ordinaria di volgare menzogna, dicano i cinque lettori di Apollonio, che piacere c'è a ascoltarla?