A chi gli chiedeva come mai non scrivesse in lingue diverse dall'italiano, Italo Calvino rispose una volta che, l'avesse fatto, gli sarebbe mancato quel rapporto nevrotico con la lingua che, indispensabile alla sua scrittura, si dava, per lui, solo con l'italiano.
Faccenda da letterato e da letteratura, potrebbe parere, che riguarda attività sofisticate come la scrittura. Attività linguistiche governate, secondo l'insegnamento di Roman Jakobson, dalla funzione poetica che, Apollonio l'anticipa (e lo confessa), c'è grande spasso a considerare una sorta di nevrosi, con i suoi lampanti aspetti ossessivi (ma appunto di ciò, forse, un'altra volta).
Invece, sollecitato a parlare di lingua e di sé, Calvino parlava, come sempre, di tutti. Il rapporto nevrotico con una lingua riguarda ogni essere umano e lo definisce. Per innesco casuale d'un ambiente, una lingua è di necessità quella con cui ogni essere umano comincia (e finisce) per parlare con se stesso: in quella che sentirà nevroticamente come la propria lingua.
Propria, infatti, come bersaglio di una libido mai soddisfatta. D'una lingua, come d'una vita - che pure si dice tronfiamente la propria -, non è infatti mai possibile appropriarsene.
Questa specifica ' altra volta ' d'Apollonio è attesissima. Poco conta che lo sia e sarebbe stato meglio non dirlo. Ma si sa quanto sia pernicioso e supponente voler imporre disciplina costante ed insormontabile alle proprie manifestazioni nevrotiche, certamente nevrotiche.
RispondiEliminaLa Sua attesa lusinga Apollonio, amichevole Lettore, e ne ammonisce (vanamente?) l'indisciplina.
RispondiEliminaCaro Apollonio, un'osservazione questa che mi tocca sul vivo. Da scrittore e da appassionato ma disordinato e incompetente cultore di lingue, anche del turco. Diciamo che il cultore è il mio doppio, l'altro cui non ho in tutta evidenza lasciato il destro di preferimi. Una mia amica psicoanalista sulle scelte e le preferenze che sono esclusioni sta prendendo appunti per, forse, un saggetto. Da vecchio mi piacerebbe potere scrivere in inglese o francese o spagnolo con assoluta intercambiabilità di pensieri. A volte so di pensare in francese e mi è capitato di inserirlo in miei racconti; ma poi l'italiano prevale, e ne sono contento; edipicamente lingua madre, oltre che materna e, come lei lascia intendere, straordinaria. È difficile rinunciare a un vocabolario che distingue tra azzurro, azzuro carico, blu pallido, blu chiaro, azzurrino. Sto rileggendo I promessi Sposi per l'ottava volta. Mi dispiace: è bello e, nella sua vecchiezza, ancora innovativo.
RispondiEliminaApollonio ringrazia per il conforto e il commento, esperiente Lettore. Che Lei riprenda il Suo viaggio attraverso il romanzo di Manzoni non Le dispiaccia: a quel nevrotico è riuscita l'impresa di mettere insieme un costrutto e un sistema, sotto forma narrativa, che (fin quando qualcuno soffrirà, sulla sua scia, della nevrosi dell'italiano) non sarà mai vecchio né (grazie al Cielo!) nuovo. Qualità di ciò che si definisce classico (così appunto si esprimeva in proposito Italo Calvino) ma che Apollonio amerebbe chiamare solo naturale: di ciò, di nuovo e indisciplinatamente, un'altra volta.
RispondiEliminaAl solito caro Apollonio, mi rallegro del suo detto.
RispondiEliminaPasquale