Di quanto scriveva Roland Barthes non si è sempre convinti. Sorvolando però sopra un qualche suo abuso dell'intelligenza, va detto che ebbe sortite di stupefacente efficacia. Molte a proposito di se stesso, come prove di una consapevolezza riflessiva.
Tra queste, l'osservazione che il suo interesse per la lingua non fosse soltanto e banalmente effetto di seduzione, ma anche di ferimento. La cosa è forse altrettanto ovvia, ma solo dopo che ci si sia appunto riflettuto.
Quando ferisce, la lingua merita perlomeno la stessa attenzione che merita quando seduce. C'è dolore a interessarsi alla lingua che ferisce, ma è un prezzo che si deve essere disposti a pagare. Sempre che, come pare appunto accadesse a Barthes, provochi diletto professare professionalmente un'attività dello spirito rivolta alla lingua.
Una disposizione naturalmente molto diversa da quella, con cui viene spesso confusa e che si può dire opposta, di chi del proprio dilettantismo nei confronti della lingua, come peraltro nei confronti di parecchio altro, capita faccia una professione.
La lingua che ferisce è sovente la lingua che crea
RispondiEliminaÈ un grande onore per il modesto diario di Apollonio, illustre Lettore, ospitare un Suo commento. Sì, capita che la lingua, creando, ferisca: è una faccetta di quel mistero che la linguistica, la vera, tenta e ritenta di far diventare problema.
Eliminahttps://dascola.me/2021/07/10/ennio-flaiano/
RispondiEliminaCome sa, Apollonio segue le Sue sortite, cortese Lettore e Collega Blogger, ma grazie del collegamento. Tra i luoghi virtuali del web, questo non è certo il più frequentato ma il rinvio potrà sempre tornare utile a qualcuno dei pochi e delle poche che vi passano.
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