"The moment men begin to care more for education than for religion they begin to care more for ambition than for education. It is no longer a world in which the souls of all are equal before heaven, but a world in which the mind of each is bent on achieving unequal advantage over the other. There begins to be a mere vanity in being educated whether it be self-educated or merely state-educated. Education ought to be a searchlight given to a man to explore everything, but very specially the things most distant from himself. Education tends to be a spotlight; which is centred entirely on himself. Some improvement may be made by turning equally vivid and perhaps vulgar spotlights upon a large number of other people as well. But the only final cure is to turn off the limelight and let him realise the stars".
Non s'inquietino i cinque lettori di Apollonio (saranno diventati cinque, a questo punto?): lo conoscono laico e laico egli rimane, anzi, fin dove può ed è capace, indagatore di quelle attitudini che si mascherano d'altro e sono invece ideologiche, quindi religiose in un senso deteriore. Oggi, la cosiddetta scienza con cui egli ha una qualche dimestichezza ne pullula. La gestione della cosa pubblica, poi, da quando la modernità è cominciata (e sono ormai più di due secoli), ne è interamente intrisa.
Se lo desiderano, nella prima proposizione della citazione che apre questo post, sostituiscano quindi la parola religion con qualsiasi aspetto che, dell'esperienza umana, preferiscono. Per la sostituzione, Apollonio asseconderebbe la sua inclinazione a costruire ipotesi e ragionamenti per opposizioni. Suggerirebbe di conseguenza quel valore cui, per marcatezza, education si oppone. Capisce però che poi non sarebbe forse capace di spiegare cosa qui si potrebbe intendere con tale non-marcatezza. Dichiara di conseguenza che gli basta, per proseguire e per la presente bisogna, qualcosa che valga come l'esperire, nella vita, la propria umanità, al di là di espliciti programmi d'istruzione. Ciò che a un bimbo accade quando, facendone esperienza, crede a una lingua umana e lascia fiducioso che essa si impossessi di lui, ben prima di essere sottoposto in proposito al trattamento che, nelle nostre società, gli destina la scuola. Del resto, cos'è d'altro, la religione, la vera, per un essere umano se non, come la lingua, come l'amore, una delle forme numerose e confidenti di un'esperienza profonda della propria umanità, nell'ipotesi di un legame d'armonia tra il finito e l'infinito?
E dunque, "Nel momento in cui gli uomini cominciano ad avere più cura dell'istruzione che dell'esperire (nella religione, nella lingua, nell'amore...) la propria umanità...": il resto della citazione segue identico. E segue identico, oggi, come rappresentazione, smascheramento e critica dell'attitudine alla santificazione ideologica, nelle pratiche educative, del cosiddetto merito. Tale concetto al momento furoreggia nel ceto intellettuale. Le ripercussioni sono note. Riguardano non solo la gestione delle istituzioni destinate all'istruzione ma anche (e più gravemente) l'atteggiamento morale cui sono invitati gli insegnanti. Costoro sono chiamati a deporre i modi degli educatori: meglio (o peggio), sono chiamati a subordinarli a quelli dei (continuamente valutati) valutatori di un presunto merito. La pretesa è insomma che, proponendo il modello educativo del merito, gli insegnanti insegnino a tutti l'ambizione di fare dell'istruzione eventualmente acquisita un riflettore puntato sul proprio merito, inseguendo con esso i vantaggi assicurati dalla diseguaglianza.
Sembra una novità rivoluzionaria (e come tale viene spacciata) ma è il solito cambiar tutto perché nulla cambi. Della sua istruzione, il ceto intellettuale moderno ha infatti sempre fatto un merito. E ne ha da sempre fatto un riflettore puntato su se medesimo. Dopo "la ragione", dopo "lo spirito", dopo "il partito", dopo una lunga e ben nota teoria di mostri, l'ideologia del merito propone insomma di mettere in scena (forse in modo finalmente farsesco) uno spettacolo cui l'umanità ha già altre volte assistito, subendone gravi danni.
Il merito pare in conclusione l'ennesima ridicola maschera della falsa coscienza dell'intellettuale moderno e del suo antiumanesimo perverso. Non troppo celato, alfine, per chi gli si avvicina, curioso, con la modesta torcia delle domande ispirategli da un pensiero libero e umano. Eventualmente nutrito, quest'ultimo, da un afflato autenticamente religioso, come insegna (e non per paradosso) il caso di Gilbert K. Chesterton. Indirizzato agli educatori, appartiene a lui l'invito, nel contempo dolce e perentorio, a "prendere coscienza delle stelle".
Non s'inquietino i cinque lettori di Apollonio (saranno diventati cinque, a questo punto?): lo conoscono laico e laico egli rimane, anzi, fin dove può ed è capace, indagatore di quelle attitudini che si mascherano d'altro e sono invece ideologiche, quindi religiose in un senso deteriore. Oggi, la cosiddetta scienza con cui egli ha una qualche dimestichezza ne pullula. La gestione della cosa pubblica, poi, da quando la modernità è cominciata (e sono ormai più di due secoli), ne è interamente intrisa.
Se lo desiderano, nella prima proposizione della citazione che apre questo post, sostituiscano quindi la parola religion con qualsiasi aspetto che, dell'esperienza umana, preferiscono. Per la sostituzione, Apollonio asseconderebbe la sua inclinazione a costruire ipotesi e ragionamenti per opposizioni. Suggerirebbe di conseguenza quel valore cui, per marcatezza, education si oppone. Capisce però che poi non sarebbe forse capace di spiegare cosa qui si potrebbe intendere con tale non-marcatezza. Dichiara di conseguenza che gli basta, per proseguire e per la presente bisogna, qualcosa che valga come l'esperire, nella vita, la propria umanità, al di là di espliciti programmi d'istruzione. Ciò che a un bimbo accade quando, facendone esperienza, crede a una lingua umana e lascia fiducioso che essa si impossessi di lui, ben prima di essere sottoposto in proposito al trattamento che, nelle nostre società, gli destina la scuola. Del resto, cos'è d'altro, la religione, la vera, per un essere umano se non, come la lingua, come l'amore, una delle forme numerose e confidenti di un'esperienza profonda della propria umanità, nell'ipotesi di un legame d'armonia tra il finito e l'infinito?
E dunque, "Nel momento in cui gli uomini cominciano ad avere più cura dell'istruzione che dell'esperire (nella religione, nella lingua, nell'amore...) la propria umanità...": il resto della citazione segue identico. E segue identico, oggi, come rappresentazione, smascheramento e critica dell'attitudine alla santificazione ideologica, nelle pratiche educative, del cosiddetto merito. Tale concetto al momento furoreggia nel ceto intellettuale. Le ripercussioni sono note. Riguardano non solo la gestione delle istituzioni destinate all'istruzione ma anche (e più gravemente) l'atteggiamento morale cui sono invitati gli insegnanti. Costoro sono chiamati a deporre i modi degli educatori: meglio (o peggio), sono chiamati a subordinarli a quelli dei (continuamente valutati) valutatori di un presunto merito. La pretesa è insomma che, proponendo il modello educativo del merito, gli insegnanti insegnino a tutti l'ambizione di fare dell'istruzione eventualmente acquisita un riflettore puntato sul proprio merito, inseguendo con esso i vantaggi assicurati dalla diseguaglianza.
Sembra una novità rivoluzionaria (e come tale viene spacciata) ma è il solito cambiar tutto perché nulla cambi. Della sua istruzione, il ceto intellettuale moderno ha infatti sempre fatto un merito. E ne ha da sempre fatto un riflettore puntato su se medesimo. Dopo "la ragione", dopo "lo spirito", dopo "il partito", dopo una lunga e ben nota teoria di mostri, l'ideologia del merito propone insomma di mettere in scena (forse in modo finalmente farsesco) uno spettacolo cui l'umanità ha già altre volte assistito, subendone gravi danni.
Il merito pare in conclusione l'ennesima ridicola maschera della falsa coscienza dell'intellettuale moderno e del suo antiumanesimo perverso. Non troppo celato, alfine, per chi gli si avvicina, curioso, con la modesta torcia delle domande ispirategli da un pensiero libero e umano. Eventualmente nutrito, quest'ultimo, da un afflato autenticamente religioso, come insegna (e non per paradosso) il caso di Gilbert K. Chesterton. Indirizzato agli educatori, appartiene a lui l'invito, nel contempo dolce e perentorio, a "prendere coscienza delle stelle".
Ha ragione, ognuno rincorra la sua umanità, la sua umanità o la sua Dea, per prendere coscienza delle stelle.
RispondiEliminaE’ il consiglio più santo che si possa dare agli educatori. Ma a costoro anche io “..suggerisco forse di lasciare il vostro impiego e, in mancanza dei capitali necessari per avviare una piccola azienda agricola. Di diventare pastori romantici..?”
Le virgolette denunciano chiaramente il furto, neanche tanto destro, di ciò che appartiene a Robert Graves.
Ciascun educatore, divenuto contadino, pastore o poeta, e la Dea. Eh sì, via, fuori dalla società, da questa società;ed anche qui, contadini, poeti, pastori, senza guardarsi, senza parlarsi per sfuggire alla trappola del “docti sumus”, più o meno “docti” con la tentazione di stilare una bella graduatoria . Ah, questo merito, che si insinua in ogni dove!
Allora, scusandomi per l’impertinenza e precisando che educatore non sono, pure cercando continuamente questa benedetta Dea, vorrei chiedere ad Apollonio Discolo che educatore è, se non l’assalga il dubbio che anche un blog così raffinato, possa brillare come un faretto su chi l’ha acceso e su chi vi passa vicino?
E tuttavia, che aria fresca si respira spalancando questa finestra del monitor! E spalancandola, preferendola ad altre che è meglio restino chiuse, non si le si riconosce un merito? Ah,ah ancora questo merito, che si insinua in ogni dove!
Grazie, Apollonio Discolo: questa bella finestra sul mio monitor tornerò spesso a spalancarla.
Bernardo La Cara
Caro Apollonio,
RispondiEliminaMi piace molto il post e domani forse lo leggo durante una riunione tra colleghi di un gruppo di ricerca pedagogica. Sempre che lei non abbia qualcosa in contrario. Da tempo rifletto e sul tema proposto e credo anche di aver scritto qualcosa di simile. Trovo però che usare termini così sospetti come religione dovrebbe essere evitato. Sono d'accordo che esperire ed esperienza sono due parole bellissime e dense, anche educazione però non mi pare da scartare: In fondo come lei sa bene dovrebbe arrivarci da ex duco, per esteso, dico io con qualche pretesa, tirarsene fuori. Peraltro trovo calzante la questione sul merito che a noi deriva mi pare dall'avere interiorizzato o pervertito, credo anch'io, le relazioni da esperienziali a funzionali. Mi pare che il testo di Alphonse Lingis, Abuses, confermi questo punto di vista. La ringrazio per le belle note. Ho ordinato due suoi volumi perchè sono molto curioso di conoscere le sue tesi.
Suo modesto collega Pasquale D'Ascola ( vero è)
Benvenuti, gentili nuovi lettori, e grazie per i generosi commenti. Apollonio ha competenze modeste e, fuori dei suoi estemporanei scatti d'umore, dettati sovente da letture desultorie, ha veramente poco altro da dire. Il consiglio che si sente di dare è conseguentemente di non prenderlo mai troppo sul serio e di fare, delle sue parole, occasione di sorriso e di diletto.
RispondiEliminaGrazie per Desultorio, parola di bellezza intrigante. Bernardo la Cara è ampollonioso ma ha ragione, è vero, questo blog è una finestra spalancata, si respira finalement.
RispondiElimina