28 settembre 2025

Linguistica candida (77): "Pulito". Cosa?

Quando è questione di lingua, ciò che Apollonio ha forse maggiormente in uggia sono le ipostatizzazioni. E di ipostatizzazioni, le grammatiche, tradizionali e no, sono piene. Ne sono costituite per intero. È questa la loro ideologia. Implicita, che è anche peggio. La terminologia grammaticale è appunto messa lì a dare nome a tali presunte sostanze. Né ci si può stupire del fatto che Ferdinand de Saussure la dichiarasse appunto di una "ineptie absolue" nella celebre lettera inviata in risposta ad Antoine Meillet nel gennaio del 1894. Da allora nulla è cambiato. E, ci si intenda, Apollonio non si illude né pretende che qualcosa cambi, anche perché è opportuno che, come per molto altro, ciascuno coltivi ed abbia la grammatica esplicita che si merita. 
A differenza delle cose del mondo, delle "cose" della lingua nessuno si chiede se e come corrispondono al loro nome e questo nome, in fin dei conti, cos'è. In genere, lo si prende come motivato dalla "cosa". Ma, trattandosi di "cosa" linguistica, è il nome che motiva a sua volta la "cosa". La congiunzione congiunge. C'è la causa nel causativo. L'articolo articola. Se poi è definito, definisce. Il nome nomina e il verbo... qualcosa da verbo farà. Fuori delle classificazioni, c'è poi la pratica. E non va meglio. Anzi. 
Di tutta questa soffocante pienezza, di questa ontologia tanto ideologicamente assoluta, quanto materialmente volatile, garanti ai sensi e alla ragione sono le forme. Un esempio a casaccio. Cos'è un participio, si ponga, se non un participio? Un ente-participio. E quanto a forma, il participio pulito suona o si legge sempre come pulito, per dire, in hai pulito?, l'ha pulito, è stato pulito, venne pulito, resta pulito, va pulito, mi viene pulito e così via. 
Si osservi però che tutti i pulito che ricorrono dal secondo in avanti sono sì pulito, ma, dandosi il caso, potrebbero essere pulita. Ciò vuole dire che sono pulita in modo latente, per via di eventuale reazione paradigmatica a una diversa sintagmatica. Il primo no. Gli manca dunque una proprietà che gli altri possiedono: va considerato al pari di essi? E, domanda radicale, si tratta veramente della medesima forma, se in un caso può mutare e nell'altro no? Un meccanico direbbe forse di no: pezzi che si somigliano formalmente in certe condizioni fino a parere identici, ma in realtà differenti. Non stanno l'uno al posto dell'altro. Tra i due, uno non ha un gioco di cui l'altro dispone: uno è pulito e basta, l'altro, secondo i casi, pulito, pulita, puliti, pulite. E il pulito fisso, per quanto suoni identico, è ben diverso da pulito variabile.
Al posto di pulito, può poi ricorrere, caso mai, pulitissimo, quando pulito è combinato, per esempio, con resta... o con mi viene... Meno facilmente o per nulla quando pulito si trova in altre combinazioni. E dunque, se capita sia pronto in quei casi ad alterarsi, pulito è sempre un ente-participio o, misteriosa metamorfosi ontologica, lì dove si altera, è diventato un ente-aggettivo? Un participio alterato fa in effetti paura. Un aggettivo va già meglio, si sa come venirne a capo. 
In verità, per ciascuna di quelle ricorrenze di pulito, prese a casaccio, qualcosa che la caratterizzi individualmente, rispetto alle altre, la si trova. Del resto è già evidente così: è stato non è hai, che non è venne, che non è va... Ed entrando in combinazione con pulito, per interazione, ciascuno di questi reagenti, per dire così, rende pulito diverso e ne riceve a sua volta una diversità. Va di va pulito non è certo lo stesso va di E la nave va.
Sarà allora il caso di moltiplicare gli enti secondo queste necessità? E di quanti enti-participi avrà bisogno una descrizione adeguata di ciò che sta nella testa di un locuteur? Se non è una questione di lana caprina, è certo una di quelle che difficilmente agiteranno le notti e i pensieri di una persona normale. Ma chi ha mai detto che avere curiosità per la lingua e porsi domande siffatte sia da persona normale?
E poi, bando alla chiacchiere: pulito è pulito! Ha una forma. Quella forma ne fa ciò che è: bisogna che le si creda. È un participio. O un aggettivo. Insomma, ciò che si vuole. Basta sia una "cosa". Senza "cose" stabili e certe della lingua nella lingua, santo Cielo, cosa e come si farebbe?

21 settembre 2025

Indirizzi di metodo, per giovani che non necessitano (46): Buone cause

Anche quando non è effetto di malafede, attribuirsi una (sempre supposta) buona causa tira fuori di norma da un essere umano quanto in lui c'è di peggio. 
Capita ci siano eccezioni in proposito e valgono appunto come casi di santità. Ma nel dubbio riflessivo, sempre ragionevole, non indursi in tentazione ed evitare di farlo è proprio di chi ha di sé una composta misura morale.

18 settembre 2025

Lingua loro (53): "...ha voluto..."? Ma come è umano Lei!

Da anni e da voce o in prosa giornalistica, Apollonio rispettivamente ode o legge espressioni formulate compendiosamente secondo la formula seguente:

Questa mattina, in occasione dell'evento, il Presidente ha voluto indirizzare a tutta la comunità nazionale un importante messaggio...

Ne sono varianti, per esempio, ...in occasione della visita, il Papa ha voluto rivolgere alla comunità dei fedeli un pressante invito..., ...in occasione della partenza, il Direttore Generale ha voluto inviare ai dipendenti della società un caloroso saluto..., ...in occasione dell'insediamento, il Procuratore generale ha voluto destinare ai suoi collaboratori un forte incoraggiamento..., in occasione della ricorrenza, il Capo di Stato Maggiore ha voluto fare giungere alle Armi e ai Corpi un vivo ringraziamento...
Da sempre la formula risulta fastidiosa ad Apollonio, per il costitutivo ricorrervi di volere (si badi, verbo definito grammaticalmente servile). Il suo sentimento della lingua prova in proposito un'intuitiva ripulsa. Ma alla ripulsa (Roland Barthes: "...parce qu'il me blesse ou me séduit"), si accompagna la voglia di capire.
Per capire la lingua, non ci sono da considerare che le combinazioni e le sostituzioni (ridondante il riferimento). Si contrae un'attitudine del genere quando, da ragazzi, si prende sul serio la fonologia. C'è poco altro da prendere sul serio, del resto, negli studi umanistici. 
Nel caso specifico, la combinazione è già sulle prime evidente, grosso modo. Quindi, più proficuo cominciare con la sostituzione, per poi tornare sulla combinazione. E rispetto a qualsiasi cosa che paia un elemento della lingua, la prima e fondamentale sostituzione è con il nulla: "Toglilo! Azzeralo! Fallo sparire! Comincerai a capire cosa ci sta a fare".
Ecco allora quanto proprio stamane, in una rete sociale, con il suo ha voluto ha innescato questo frustolo, lo si ammette, per esaurimento ("Ma basta! Anche qui? Non si rendono conto della ridicolaggine?"): "Questa mattina... il Rettore ha voluto indirizzare a tutta la comunità universitaria un messaggio di saluto...". Senza, sarebbe stato: "Questa mattina... il Rettore ha indirizzato a tutta la comunità universitaria un messaggio di saluto...". Lingua dell'informazione, si è detto. Con o senza ha voluto, sopra quanto è successo, sul fatto, nessuna differenza: ha voluto è allora un vacuo orpello? 
Lo si conceda, a chi non crede che la lingua si porti sempre dietro un'ideologia. Ciò che pare un orpello in funzione dell'enunciato ('ciò che ha fatto quel rettore o quel presidente o quel papa...') non lo è tuttavia in funzione dell'enunciazione ('io dico a voi...'). 
Un orpello dice cose essenziali di chi enuncia e, soprattutto, di quale sia la sua attitudine rispetto a ciò che enuncia, anche per il fatto che l'enunciato viene evidentemente ritenuto meritevole di orpelli, in funzione di cosa o di chi vi si trova menzionato e coinvolto.
E qui, in correlazione con la sostituzione, ecco al lavoro il dato della combinazione. Nella funzione di soggetto di ha voluto, il Presidente / il Rettore / il Papa / il Direttore Generale / il Capo di Stato Maggiore e, si precisa a scanso di equivoci, i rispettivi femminili, ove la realtà li rende disponibili, non sono l'eccezione. Sono la norma. Sono insomma rappresentativi della non marcatezza. 
Non che in proposito ci sia un impedimento grammaticale, ci si intenda, ma tra "L'operatore ecologico" e "Il Sindaco" non è difficile immaginare chi fungerà da soggetto più probabilmente e chi meno probabilmente nel contesto "...ha voluto ringraziare la cittadinanza per la corretta e lodevole differenziazione dei rifiuti". Si dirà: anche perché chi fa informazione ritiene, magari a ragione, che valga la pena di scrivere di ciò che passa per la testa e dalla bocca di un sindaco più che di ciò che passa per la testa e dalla bocca di un dipendente della relativa azienda municipalizzata (potrebbero essere d'altra parte espressioni irripetibili).  
Ma, a ben vedere, dirlo è solo un modo diverso di dire che ha voluto, l'orpello servile, rivela che il contenuto informativo dell'enunciazione è la volontà del suo soggetto grammaticale, nel fare ciò che si dice abbia fatto. A tale informazione, quella procurata dall'enunciato fa soltanto da pretesto (o da contorno). Non il fatto, dunque, ma la volontà soggettiva di un'autorità è quanto si comunica con ha voluto. E, correlativamente, rispetto a tale autorità, con ha voluto chi enuncia rende esplicito il proprio atteggiamento. Servile. Insomma, mai la terminologia grammaticale fu più appropriata. Ha voluto esprime il tratto pertinente di chi lo enuncia: lingua da servo. Servile.
E qui giunti, grazie all'amara e corrosiva fantasia di Paolo Villaggio, combinazione e sostituzione o, per dirlo con una secca definizione disciplinare, la linguistica in purezza consente, capendo, di ridere parecchio:

Il Megadirettore Galattico / il Duca Conte Maria Rita Vittorio Balamam / l'Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani / il Duca Conte Pier Carlo Ingegnere Semenzara / la Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare / il Direttore Totale Dottor Ingegner Gran Mascalzon di Gran Croce Visconte Cobram / il Direttore Naturale Duca Conte Pier Matteo Barambani / il Professor Guidobaldo Maria Riccardelli ha voluto...

E di ridere tanto degli innumerevoli fantocci che, nel contesto specificato, pensano di farsi belli consacrando il loro ha voluto alle esternazioni di qualche "Duca Conte", quanto dei "Duchi Conti", spesso immaginari, che da ha voluto si pretendono e si considerano onorati, fino al punto che se ne trova sempre qualcuno che, in mancanza di meglio, se lo attribuisce da sé: "...ieri ho voluto rendere omaggio...". "Ma mi 'facci' il piacere...".

13 settembre 2025

A Pisa, si celebrano i cento anni dalla nascita di Riccardo Ambrosini


Ecco un'occasione nella quale Apollonio trepiderà per il suo esile alter ego e curerà, al Cielo piacendo, di assicurargli un po' di conforto interiore.

8 settembre 2025

A frusto a frusto (146)


Se, con serena ostinazione, si spinge uno sguardo sperimentale al di là di ciò che è bruto, ci si rende presto conto che quanto, con paradossale necessità, tiene in vita un essere umano è un quale.

6 settembre 2025

Cronache dal demo di Colono (74): Un fenomeno arcitaliano

La previsione era facile: il sei settembre 2025, il ciclone Andrea Camilleri si sarebbe abbattuto sulla nazione (linguistica) con la sua massima asprezza. Sono mesi che imperversa, come si sa. Pian piano, da qui alla fine dell'anno, lo si vedrà ridursi e infine spegnersi.
Fuori di figura e con un vivo sentimento di umano rispetto, peccato che a Camilleri sia finita così. Peccato che di uno scrittore di genere, bravo il giusto e sconsideratamente prolifico, di una persona di spirito, ma incline ai luoghi comuni, di un uomo di buona cultura, ma niente più che di buona cultura, sia stato fatto un feticcio (quanto durevole lo dirà appunto il tempo). Peccato che a tale feticcio sia stata adesso consacrata un'ara (se di marmo o di cartone, giudichi chi legge). 
Come in una festa strapaesana e con il pretesto di magnificazioni sesquipedali, intorno a tale ara si sono celebrati e si celebrano riti sfacciatamente (e comprensibilmente) commerciali e comiche manifestazioni di presenzialismo. C'è chi vende ogni sorta di santini, chi zucchero filato e torroni, chi spara tricche tracche e mortaretti, chi guitteggia dai teleschermi e sulle assi di palcoscenici di provincia e chi, infilandosi nelle chiacchiere di tutti i crocicchi, le infiora con ricordi personali originalissimi, ma dai quali la comunicazione di massa trae da decenni polpettoni stucchevoli e ormai rancidi. 
Si dirà che Camilleri lavorò a tale esito, nel breve scorcio della sua vita in cui fama e successo lo toccarono, improvvisi e irragionevoli, come sono sempre, chiunque tocchino. Si dirà che anzi lo fomentò. 
Lo fece sulle prime con un'autoironia sorridente ("Ho famiglia", gli si sentì più o meno affermare, "e penso al futuro di prole e nipoti"). Poi, però, come trascinato da una corrente, divenne preda, in apparenza, di un'irragionevole temerarietà. È evidentemente il sentimento che un dio feroce dona a coloro che destina a perdere un temperato giudizio su se stessi, nel clamore e negli effetti di interessate lusinghe. Si direbbe quasi una perdita del pudore.
A Camilleri bisogna concedere però che resistere sarebbe stato difficile e avrebbe domandato ben altra tempra. O l'essere nato e cresciuto in una nazione diversa da quella in cui invece si è riconosciuto senza remore e che, riconoscendosi a sua volta in lui, l'ha eletto a campione di una sua temperie morale e culturale certo non brillantissima né memorabile. 
Come si può e come detta il tempo, Andrea Camilleri è entrato così nel novero degli arcitaliani ufficialmente riconosciuti come tali (quanto a lungo vi rimarrà, lo si ribadisce, non è dato di saperlo) e la compagnia, va detto, non è delle migliori. 
Da più di sette secoli, infatti, il meglio dell'Italia e della sua cultura si esprime nell'"anti-" più che nell'"arci-". E, senza per questo pensare a chissà quali valori (sette secoli fa, ce ne fu in effetti uno fondativo e fu un segno permanente, per la nazione), ma restando in una sorta di locale e recente medietà, basta uscire dalla sagra strapaesana e percorrere i trenta chilometri che separano la burlesca Vigata dalla grave Regalpetra, per rendersene conto. Spassionatamente.