"I never read a book I must review; it prejudices you so", scrisse ai suoi tempi un Oscar Wilde in apparenza provocatorio, ma ben saldo invece in una marmorea tradizione di pensatori paradossali.
A leggere quanto passa oggi per recensione sulle gazzette culturali, c'è da dire che un'attitudine siffatta è diventata la regola.
Chi recensisce un libro tiene soprattutto a mostrare di averne penetrato l'essenza, di averlo "capito", d'essere etimologicamente intelligente. E poco importa che dimostri di averlo letto, quel libro. Meglio non l'abbia fatto, pare la regola.
Nipotini e nipotine di Wilde pullulano così in un mondo che, è appena il caso di dirlo, nuota appunto da tempo in un oceano di intelligenza. Oggi c'è persino il caso che vi anneghi. Non essendo bastevole la naturale all'universale lavacro, se ne può infatti produrre a volontà di artificiale: la si tocca, se ne spalancano le cateratte e se ne viene sommersi.
Wilde è però morto prima che la dichiarazione di metodo producesse un séguito tanto numeroso. La vedesse oggi all'opera così efficacemente, capirebbe come, per non trovarsi un giorno a fare da mosca cocchiera a ripugnanti sciami di mosche, lo spirito non basta ed è persino probabile sia controproducente?
Apollonio non lo sa. Può solo osservare ancora una volta come il tempo sia crudele. E fu questo, a ben vedere, il più profondo e consapevole pensiero di un Oscar Wilde che, dal tempo, riceve dunque in proposito (e non solo in proposito, va detto) ciò che si merita.
Ma forse lui avrebbe replicato che se si è una mosca "one can fly".
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