"Vos non Romani, sed Langobardi estis [Voi non siete Romani, siete Longobardi]": mancavano ancora tre decenni al 1000 e l'imperatore d'Oriente Niceforo Foca apostrofò così Liutprando, vescovo di Cremona, inutilmente inviatogli come ambasciatore dal collega Ottone I, per combinare tra l'altro un matrimonio e dirimere così un difficile contenzioso tra i due imperi, relativo all'Italia meridionale. I rapporti di colleganza, come si vede, non erano facili neanche allora.
Di ritorno, il longobardo raccontò d'avere replicato come segue allo sprezzante ospite: "nos, Langobardi, scilicet Saxones, Franci, Lotharingi, Bagoarii, Suevi, Burgundiones, tanto dedignamur [coloro che son detti Romani], ut inimicos nostros commoti nil aliud contumeliarum, nisi: Romane! dicamus, hoc solo, id est Romanorum nomine quicquid ignobilitatis, quicquid timiditatis, quicquid avaritiae, quicquid luxuriae, quicquid mendacii, immo quicquid vitiorum est, comprehendentes". 'Romano!', quindi, per "nos Langobardi" valeva come massima contumelia da rivolgere al nemico, riassuntiva dell'attribuzione di un'impressionante serie di vizi: ignobilità, pavidità, avarizia, lussuria, mendacio e così via.
Innescato dal 'voi' di Niceforo Foca, ecco allora un lampante caso di 'noi' che esclude l'interlocutore, di 'noi' non-inclusivo. In anni recenti - e, certo, quando dei Longobardi, etnicamente, si è ormai persa ogni traccia - un 'noi' così caratterizzato ha ripreso a furoreggiare nelle contrade che furono di Liutprando. Di nuovo (e qui sta il comico: ma se ne riderà in una prossima occasione) in relazione ai 'Romani', termine oppositivo indispensabile alla soggiacente costituzione di un 'noi' inclusivo, cioè di quel 'noi' con cui, chi parla, espropria invece il suo interlocutore della sua individualità.
"Se vogliamo che tutto rimanga come è..." dice Tancredi Falconeri, col 'noi' inclusivo più famigerato della letteratura italiana e non c'è lettore del Gattopardo che non abbia attribuito il pensiero e, nel ricordo, addirittura le parole al povero Fabrizio Corbera, in quella come in altre occasioni, davanti al nipote, silente.
Non ci si riflette mai (come non si presta mai la giusta attenzione alle mani di un borseggiatore), ma a dire 'noi' è infatti sempre un 'io' e, inclusivo o non-inclusivo, non di rado il giochetto del 'noi' (che pare innocuo) finisce male: in una guerra, certo, e persino in un matrimonio.
Innescato dal 'voi' di Niceforo Foca, ecco allora un lampante caso di 'noi' che esclude l'interlocutore, di 'noi' non-inclusivo. In anni recenti - e, certo, quando dei Longobardi, etnicamente, si è ormai persa ogni traccia - un 'noi' così caratterizzato ha ripreso a furoreggiare nelle contrade che furono di Liutprando. Di nuovo (e qui sta il comico: ma se ne riderà in una prossima occasione) in relazione ai 'Romani', termine oppositivo indispensabile alla soggiacente costituzione di un 'noi' inclusivo, cioè di quel 'noi' con cui, chi parla, espropria invece il suo interlocutore della sua individualità.
"Se vogliamo che tutto rimanga come è..." dice Tancredi Falconeri, col 'noi' inclusivo più famigerato della letteratura italiana e non c'è lettore del Gattopardo che non abbia attribuito il pensiero e, nel ricordo, addirittura le parole al povero Fabrizio Corbera, in quella come in altre occasioni, davanti al nipote, silente.
Non ci si riflette mai (come non si presta mai la giusta attenzione alle mani di un borseggiatore), ma a dire 'noi' è infatti sempre un 'io' e, inclusivo o non-inclusivo, non di rado il giochetto del 'noi' (che pare innocuo) finisce male: in una guerra, certo, e persino in un matrimonio.
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