"La 'rivoluzione chomskiana' precede Chomsky. In misura maggiore di quanto i discepoli recenti siano pronti a riconoscere, il lavoro preparatorio è stato fatto dal maestro di Chomsky, il professor Zelig Harris dell'università della Pennsylvania". Lo scriveva George Steiner in un articolo sul New Yorker dei tardi anni Sessanta, se Apollonio non ricorda male. Una prova dell'acutezza di Steiner che, per quanto in un certo senso profano, si dimostrava precocemente consapevole di un'ingiustizia, una delle tante perpetrate dalla memoria umana per malafede e da quel suo prodotto spacciato per oggettivo che si è soliti chiamare storia.
Ed è allora giusto che in reputate storie della disciplina il nome e la figura di Harris ricorrano come segue, in un passo rapidamente esemplare delle tecniche di occultamento e dei modi della damnatio memoriae: "Va citato infine un sottile teorico come Zellig Harris, che ha spinto le tecniche analitiche e classificatorie tanto avanti da illustrarne i limiti, come si vede in quella sintesi che è il volume Methods in Structural Linguistics, dal quale partono sia i tentativi di superamento costituiti dalla grammatica trasformazionale dello stesso Harris, sia la più radicalmente innovativa linea di ricerca aperta dal suo allievo Noam Chomsky". Non una parola di più.
È giusto, si diceva, ma è veramente triste.
È giusto, si diceva, ma è veramente triste.
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