5 agosto 2019

La cultura del pesce, a tavola, e l'orecchio che governa il racconto

"I clienti, cosa vuole, ormai non sanno più pulire il pesce": ha l'aria furbescamente mortificata il maître, quando Apollonio gli fa presente il suo sgomento, vedendosi presentare brandelli di quei pesci che, insieme con il resto, un piatto della cucina siciliana tradizionale vorrebbe comparissero a tavola interi se di modeste dimensioni o, se di grandi, a pezzi considerevoli e anatomicamente riconoscibili. "Ha ragione. Ragionissima. Ma non sono più quei tempi. E sì, bei tempi, signor mio. Ha ragione...". 
Brandelli di qualsiasi cosa sono - sovente - resti di lavorazioni in cucina, se non peggio. Per averne consapevolezza, non c'è bisogno d'esserne stato fin da bimbo informato da chi aveva anche bazzicato cucine commerciali, né è necessario avere praticato con applicazione, per qualche tempo, un po' di cucina familiare. 
Quel maître è quindi un volgare imbroglione e il suo ristorante uno tra gli innumerevoli in cui oggi, a qualsiasi livello di spesa ci si collochi, si pratica, nella società italiana degli ultimi decenni, uno spudorato imbonimento: lo spaccio del cibo. 
Del resto, di cibo e della sua preparazione, se n'è parlato tanto in simulata punta di forchetta, se ne parla ancora tanto, anche se, tra la gente che rincorre gli andazzi, il tema è adesso passato tra i démodés. C'è addirittura chi, dopo avere cavalcato l'onda, ora ostenta distacco, se non disdegno. Nessun dubbio in proposito, dunque: prodotta ad arte o no, l'ammuina cela la truffa. Sempre. E appena si comincia a sentire parlare insistentemente di qualcosa, si può stare certi che la cosa in questione è in gravissimo pericolo, perché sta per venire inghiottita dalla stupidità e da quella che si atteggia a dotta: tra le stupidità, la veramente distruttiva.
Sì, un volgare imbroglione, allora, ma come dargli torto? A governare il racconto è l'orecchio e non la voce, secondo un'ovvia osservazione di Italo Calvino. A governare la qualità del cibo è la domanda, non l'offerta. Se, come ha scritto un acuto interprete delle dinamiche sociali della modernità putrefatta, anni fa era difficile mangiare male a Firenze o a Roma, e Apollonio aggiunge, era ancora più difficile a San Vito lo Capo o a Bagheria, mentre ora, nei medesimi luoghi, è difficilissimo, quasi impossibile mangiare bene e, praticamente, ovunque in Italia, la colpa non va data ai ristoratori, ma alla clientela e, ancora più, a quella clientela che ostenta competenze.
Nel caso del pesce, al di là della capacità di farlo interagire con quattro dei cinque sensi (vista, olfatto, tatto, gusto), è vero, incontrovertibilmente vero, come simulando dolore dice quel maître, che, al pari di bimbi e bimbe incapaci di servirsi delle posate o, al limite, delle mani, la stragrande maggioranza di coloro che pretendono di mangiare il pesce, dicendosene addirittura intenditori, pretendono di farlo senza nemmeno sottoporsi alla piccola fatica di imparare a conoscerne, appunto con i molti aspetti e i molti sapori, le variate ma sistematiche anatomie, per saperlo trattare, ove capitasse di trovarselo sopra un piatto.
C'è, in questa faccenda modesta (ma modesta, poi?), l'immagine emblematica di una circostanza generale della società italiana contemporanea, in molte se non in tutte le sue manifestazioni culturali. Questa non è infantile. Meglio, infantile purtroppo non è più. È rimbambita, per decrepitezza, e moralmente pensionata. Vive in un ospizio ideale. Vuole sul piatto la sola cosa che sa portare alla bocca con il minimo impegno: e sono già chiari i segni che presto pretenderà d'essere letteralmente imboccata. Vuole roba a brandelli mischiata a uno speziato semolino e lo chiama cuscus. Del resto, il pesce, intero e di tutte le dimensioni, anche il piccolo e saporitissimo, non sa più cosa sia.
Ed è così che frotte di volgari imbroglioni praticano i loro imbrogli, dicendo al tempo stesso e se provocati parole di verità, con la serena coscienza di chi, ai buggerati, fornisce appunto ciò che i buggerati più desiderano: d'essere giulivamente tali.    

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