Sopra Oppenheimer di Christopher Nolan, Apollonio dubita oggi che il suo alter ego abbia voglia di esprimersi per iscritto. Ma il cinema di Nolan è una delle sue palestre preferite e poi lo conosce volubile e soggetto all'estro. Si sa che a determinare le voglie è appunto l'estro.
Per il momento, l'alter ego sostiene che vedere Oppenheimer di Nolan solo una volta non basta, per dirne, ancora di più, per scriverne sensatamente.
Ma ciò vale per ogni altro film del regista inglese, obietta Apollonio. Le sue pellicole vanno bene naturalmente anche per spettatrici e spettatori da "una botta e via": la maggioranza. Seducono al tempo stesso tuttavia anche e forse soprattutto la minoranza di quei perversi e di quelle perverse inclini a chiedersi come sarà la successiva e talvolta finiscono così per innamorarsi. Sarà segno di qualità artistica?
Forse. E non si può dire che Oppenheimer non dia segni della sua qualità. Ma Apollonio, spericolato, non si perita di dire che non si tratta dell'opera migliore di Nolan. E il chiasso che ne ha anticipato e accompagnato l'uscita nelle sale, ai suoi occhi, ha reso più manifesta la discrepanza. Prezzo da pagare a ineludibili esigenze commerciali. Emma Thomas e Syncopy hanno lavorato alla grande: una campagna con i fiocchi.
Nei commenti sul film (o perlomeno in quelli che Apollonio e il suo alter ego hanno accidentalmente intercettato, tra le miriadi) il soggetto, nelle sue faccette psico- e sociologiche, e il tema, con le sue imponenti conseguenze, hanno tuttavia fatto premio (per dirla come un assessore o come un mister) sullo specifico cinematografico.
E non solo sullo specifico cinematografico (del quale, tanto Apollonio, quanto l'alter ego masticano pochissimo), ma anche, più in generale, sul narrativo. Invece, la costruzione narrativa, se non è il meglio (o il peggio) del film, è certo quanto è formalmente notevole. Tanto da indurre a chiedersi se a tale forma corrispondano valori funzionali, dice l'alter ego, e se tali valori funzionali tengano, rendano cioè sistematico il prodotto finito.
Apollonio lo sa bene e il suo alter ego ci ha anche speculato: Nolan ha un conto aperto con il tempo. Ma il cinema è ineluttabilmente lineare. Come dell'espressione linguistica osservò Ferdinand de Saussure. E Roman Jakobson fece finta di non capire, per preconcetta polemica con quel fantasma, commenta l'alter ego, tirando in ballo i suoi chiodi fissi.
Lingua e cinema, continua, impongono un tempo anche a chi pare non volere concedere al tempo nessun privilegio, narrando, come Nolan non smette di fare. Mirabile, nella sua opera, fu in proposito la valorizzazione dell'aspetto, in Dunkirk: un breve capolavoro, formalmente semplice, funzionalmente complesso, che provocò invece poco rumore.
Nel fluviale Oppenheimer, il tempo è invece frantumato, come l'atomo: per vano gioco? Si direbbe di no. Individuare con precisione il funzionamento di tale frantumazione nei suoi effetti narrativi è indispensabile, per una valutazione.
L'alter ego ha ragione: a capire se ci si prende gusto, necessaria perlomeno un'altra botta...
Nessun commento:
Posta un commento