Il sole sorge, il sole tramonta anche dopo Copernico. E, come formula, Dio non voglia continua ad affiorare sulle labbra di mortali ben convinti e convinte dell'ormai plurisecolare morte di Dio. Di Dio nessuno si è ancora azzardato a precisare d'altra parte se è proprio morto o solo clinicamente morto, che, come si sa, significa in realtà che qualcuno è ancora sufficientemente vivo da potere donare un organo. E di farlo (farlo? Anche qui, qualche dubbio sarà lecito) senza essere in grado di proferire un fatidico Prendi il mio cuore: è tutto tuo. Aspetti dell'ideologia, della vita e di qualche suo correlato non di poco momento, come si comprende.
Invece, "la lingua ha da adeguarsi alla nuova realtà", si sente dire. Da qualche secolo, appunto, c'è sempre una voce, pronta a ispirare un coro, che si alza ad affermarlo con fare (spesso inutilmente e rabbiosamente) impositivo.
Gente che, poverina, crede che le proprie piccole convinzioni, con il corredo di norme linguistiche all'uopo artificialmente e localmente cogitate, siano la realtà: la realtà che conta!
La voce di costoro ha un suono stridulo e sinistro e conviene non prestarle orecchio. Da qualsiasi fonte provenga: destra, manca, sopra, sotto, davanti, dietro. Dovunque essa echeggi: tribuna, aula, pulpito, cattedra, piazza, assemblea. Di qualsivoglia lingua si tratti: quotidiana, letteraria, locale, nazionale, pubblica, privata. E qualunque sia la realtà di cui proclama la novità: materiale, spirituale, personale, sociale, etica, teoretica.
I conti con la realtà, la lingua li fa, li ha sempre fatti da sé e, nel mutare delle epoche, delle credenze, delle ideologie, i programmi umani che pretendono di determinare tali conti non ne producono la conformità, suo tratto necessario e permanente. Ne producono invece un transeunte conformismo, talvolta drammatico, sempre ridicolo.
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