31 ottobre 2008

L'Eco balla

Qualche giorno fa, Umberto Eco ha conversato con il giornalista Michele Fazioli a Lecco, in occasione del conferimento al famoso semiologo del premio Manzoni. L'incontro è stato mandato in onda il 26 ottobre scorso dalla Televisione della Svizzera italiana ed è adesso in rete, dove l'ha trovato Apollonio, che ne consiglia la visione ai suoi sparuti lettori (sotto, l'opportuno link). Esso smentisce tra l'altro chi afferma che al medium tocca la responsabilità del suo attuale stato. Come si sapeva (ma ci si è scordati), anche la televisione consente infatti di seguire una conversazione tra persone argute e ben educate, col disteso diletto con cui si seguirebbe una danza.
Con disteso diletto anche perché Eco (che diventando anziano si è privato della barba) appare ciò che in maniera finemente mascherata (dalla barba?) è sempre stato: un moderno sciamano, consolatore dell'angosciosa inquietudine culturale della (post)modernità, depositario di quegli strumenti eruditi e teorici (sconosciuti ai più) coi quali il caos e il disordine in cui pare di essere ormai irrimediabilmente piombati ritornano alle certezze di un ordine tolemaico e aristotelico.
«Non capisco più nulla di ciò che mi succede intorno, il mondo, la storia mi paiono solo una favola raccontata da un idiota, piena di strepito e di furore» pensa l'everyman cólto d'oggidì «ma c'è qualcuno che sa, capisce e mette in ordine: Umberto Eco» e può così tornare al suo tornio quotidiano e poi a casa, a dormire, senza che gli incubi della perdita del senso (di sé, del mondo) lo tormentino troppo.
In quest'opera fortunata e benemerita, la visione che Eco ha della letteratura (tanto come teorico, quanto come critico e come scrittore) gioca un ruolo fondamentale: Eco inquieta quel tanto e quel giusto che rende molto ben accolto il lieto fine che egli dispone. E il lieto fine da concettuale si volge sempre in morale.
Nella conversazione con Michele Fazioli, priva (merito anche del giornalista) della supponenza dell'attitudine divulgativa, la circostanza emerge con cristallina chiarezza. Ed è questo soprattutto il motivo per il quale Apollonio ne raccomanda la visione.
Acuto, Fazioli provoca Eco sul tema della relazione tra realtà, messaggio di autore misterioso e indefinibile, e finzione narrativa, messaggio di autore definibile (anche quando fosse ignoto) ed Eco di rimbalzo balla: “...io sostengo che una delle funzioni principali della narrativa è di fornirci un modello di verità... cioè, è vero che madame Bovary si è uccisa e non c'è santi che tengano, questo non cambierà mai [...] la narrativa ci offre un modello di verità incontestabile che è utile per muoversi nella vita”.
L'esempio è ben scelto, perché è certamente ciò che del fattaccio di Yonville-l'Abbaye direbbe oggi (e disse) il positivo Monsieur Homais. Proprio quel Monsieur Homais alla cui acutezza di spirito la povera suicida (ne avrà memoria il lettore) dovette la dettagliata ed esauriente indicazione della presenza dell'arsenico nel cafarnao.
Ciò che è vero è vero e i fatti sono i fatti, diamine, almeno nella pagina letteraria, e guai a pensare che la loro rilevanza risieda nella relazione narrativa che li fa divenire tali in funzione di un punto di vista, tanto (per dirla con nozioni e terminologia care a Eco) nell'intenzione dell'autore (di cui in verità poco importa), quanto in quella del testo.
Del resto, anche Renzo Tramaglino concorderebbe con Eco: “Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire [direbbe Eco “utili per muoversi nella vita”]. - Ho imparato, - diceva, - a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza [...] - E cent'altre cose”. Non concordava con Renzo, e forse non concorderebbe con Eco, la candida Lucia. E Apollonio, lo confessa, sta con lei: “Lucia, però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n'era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, - e io, - disse un giorno al suo moralista, - cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercare me. Quando non voleste dire, - aggiunse, soavemente, sorridendo, - che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi”.
Ma Eco era a Lecco per ritirare appunto il premio Manzoni, giustamente conferitogli.

Umberto Eco intervistato da Michele Fazioli.

13 ottobre 2008

Lingua loro (8): "lingue storiche"

Tra un paio di giorni comincia a Palermo il solito annuale convegno di un'associazione italiana di studiosi del linguaggio (se non la più seria, la più pedante, si diceva un giorno). Ha per titolo «“Usare il presente per spiegare il passato”. Teorie linguistiche contemporanee e lingue storiche». La prima parte è una citazione: Apollonio non ha tempo (adesso) per dire da dove viene e perché combinarla con quel séguito non pare appropriato. Tant'è: ognuno decide di esprimersi come meglio gli pare. Ma c'è qualcosa che ha maggiore rilevanza pubblica, in quel titolo, ed è “lingue storiche”. È una novità.
Gli attributi, si sa, sono pericolosi. Fino a ieri, peraltro, attribuire storica a lingua non usava, in italiano. O almeno, non usava col valore che si può immaginare abbia pensato chi ha dettato quel titolo. Si poteva dire, per esempio, “arabo e greco sono state lingue storiche della Sicilia”, per dire che nel corso della storia, in Sicilia, ci fu chi parlò arabo e chi parlò greco. Ma “lingue storiche”, in assoluto, come lascia intendere quel titolo, non se ne conoscevano. Tutte le lingue (e tutte quelle cui si è da sempre dedicata quell'associazione) sono storiche, del resto, ed è da escludere che a quel "lingue storiche" si volessero contrapporre in quel titolo le "artificiali" (che, a loro modo, peraltro, sono storiche anch'esse). E del resto, annunciare di fare un convegno sugli “uomini mortali”, non lascia intendere che se ne può fare un altro sui "non mortali"? Nell'orizzonte culturale di quell'associazione ci sarebbero quindi anche "lingue non storiche"? E quando si prevede di parlarne? Sarebbe un avvenimento sensazionale. In giro, c'era ovviamente la linguistica storica, qualificata dal metodo e storica per questa ragione. Oggetto di studio della linguistica storica però non si era mai pensato potessero essere delle fantomatiche lingue storiche.
Col convegno palermitano, nascono invece in italiano “le lingue storiche”: chi vuole, festeggi. A Citera, Apollonio non lo fa e mette il lutto: gli pare un'inquietante sciatteria. Chi ha dettato quel titolo voleva dire semplicemente forse “lingue antiche” (e così si diceva in italiano e così si diceva in quell'associazione scientifica che era la più seria e la più pedante e spesso dedicava i suoi convegni alle lingue antiche). Si è vergognato di dirlo? “Antico”, si sa, non usa più. Storico e antico non sono sinonimi, però. O forse, ed è più grave, chi ha dettato quel titolo semplicemente non sa ciò che dice. E, per mostrare di avere gli attributi, ha preso il primo che gli è passato per la testa e l'ha esibito. Per una associazione nazionale di linguisti, un giorno la più seria, la più pedante, non è proprio una bella esibizione.

Lingua loro (7): "disponibile"

I due lettori di Apollonio (in breve fuga da Citera) l'avranno già notato. La gente di mondo non dice più “Vorrei essere eletto alla carica di...”, “Mi candido alla carica di...”. Dice: “Sono disponibile a coprire la carica di...” o ancora “Mi metto a disposizione per la carica di...”. Hanno cominciato politici e sindacalisti. Tra i professori d'università (un tempo razza eletta di snob, oggi tristemente al traino) è tutto un fiorire di disponibilità, adesso. Ne sortisce però un piccolo problema di coerenza. Quando ci si candidava per una carica e si voleva coprirla, si chiedeva voto e sostegno. Oggi, che si è soltanto “disponibili”, quale sarà l'espressione più adeguata per sollecitare un voto? Memore del personaggio di un film di Federico Fellini, Apollonio ha un suggerimento per chi è “disponibile”: si rivolga al suo potenziale elettore con un appropriato “Gradisca”.