31 dicembre 2010

Ordine dei nomi (e cognomi), di nuovo

Anche ad Apollonio, nella sua vita secolare, accade talvolta di sedere a tavola con gente importante e di livello. Non molti anni fa, a cena, il ministro italiano dell'istruzione a cavaliere tra i due millenni intrattiene, come sa, i commensali. Narra dell'impressione che gli hanno fatto, percorrendo, nella sua nuova funzione, il Sancta Sanctorum dell'augusto palazzo, i ritratti dei suoi predecessori che l'adornano: su ciascuno una targhetta, a declinare le generalità del raffigurato secondo l'ordine anagrafico cognome-nome.
E qui la memoria di Apollonio, oggi, si confonde. Ricorda vagamente di un riferito raccapriccio del ministro. Del racconto d'una sua disposizione per un rinnovamento delle targhette e per l'instaurazione dell'ordine nome-cognome, meno grigio, meno burocratico-militaresco. Disposizione, disse quella sera il ministro, giunta felicemente al bersaglio? Fallita? Oggi, Apollonio non può darne affidabile testimonianza.
Prima d'arrivare a quel punto, infatti, egli s'era già colpevolmente distratto. I suoi pensieri avevano cominciato ad esercitarsi con una litania interiore di nomi, recitati proprio nell'ordine che dispiaceva al ministro, da sempre, del resto, meritevole alfiere di progresso, nell'istruzione.
Berlinguer Luigi... Malfatti Franco Maria... Falcucci Franca... Gui Luigi... e (fuori del sostegno di consapevoli personali esperienze) Moro Aldo... Bottai Giuseppe... De Ruggiero Guido... Omodeo Adolfo... Gonnella Guido... Sella Quintino... Croce Benedetto... Amari Michele... Bonghi Ruggiero... De Sanctis Francesco...
Fu tuttavia come un mantra. O forse fu colpa del vino (di pessima qualità: di questo è più che certo). Certo, bevendo e compitando tacitamente la sua litania, parve così ad Apollonio che gli si illuminasse improvvisa la ratio profonda di quell'ordine cognome-nome che il ministro raccontava di avere messo a repentaglio, dalla sua prospettiva generosa e politicamente corretta.
Gli parve di capire che le vecchie targhette miravano ad ammonire la massima e transeunte autorità dell'istruzione italiana, a spasso in quel luogo di potere. Un giorno, tale autorità lo sapeva, sarebbe stata onorata di un ritratto lì, sui muri del ministero. Le targhette la informavano però che, negli anni a venire, per la severa impassibilità dell'istituzione, il suo nome, quanto si voglia illustre e personale, non sarebbe stato declinato diversamente da come esso un dì aveva risuonato all'appello mattutino del maestro della sua prima classe elementare, nel primo suo incontro pubblico, da bambino, con la maestà dell'istruzione: "Amari Michele", "Presente", "Bonghi Ruggiero", "Presente", "Bottai Giuseppe", "Presente", "Croce Benedetto", "Presente", "De Mauro Tullio", "Presente".
Ma Apollonio si peritò di dirlo di fronte a tutta quella gente importante e di interrompere il flusso delle parole dispensate nell'occasione dalla brillante autorevolezza del ministro. E se oggi, fine dell'anno, lo svela qui è solo per far sorridere i suoi due lettori di una delle tante sciocchezze che gli son passate e continuano a passargli per il capo e per dire loro di fare attenzione ai vini cattivi.

29 dicembre 2010

Je n'accuse pas

"«Sentimenti sovversivi», dietro lo j'accuse c'è una storia d'amore": un articolo con questo titolo inaugura la collaborazione al Corriere del Veneto d'un recente vincitore del Premio Strega. Bel battesimo.
Da oltre cento anni,
l'espressione francese j'accuse, a séguito di un celebre editoriale di Émile Zola che la portava come titolo, è diventata un sostantivo ed è perciò combinabile con un articolo.
P
er il titolista del Corriere del Veneto (in ricca compagnia: basta una veloce ricerca nel Web per accertarsene), a tale sostantivo, per via della consonante che l'apre, tocca lo quale appropriata forma di articolo determinativo. Naturalmente, c'è chi la pensa e si comporta in modo diverso: "Il j'accuse di Julian Assange / «Negli USA sarei ucciso come Oswald»".
A chi, osservandoli, fa la storia dei variabili usi linguistici (e ortografici) italiani, impassibile come ha da essere, spetta solo il compito di prenderne opportuna nota.
Apollonio (che ha i suoi gusti, naturalmente, e le sue preferenze) gli segnala il minuscolo caso, sperando gli serva per arricchire la sua documentazione.
Vindici e risentiti restauratori di presunte norme, così come entusiasti lodatori delle libertà dell'uso, sono caldamente pregati di astenersi.

L'uno e l'altro

21 dicembre 2010

Bolle d'alea (12): Diderot

Il 13 ottobre 1759, Denis Diderot scrive a Louise-Henriette, detta Sophie, Volland: "Avec vous je sens, j'aime, j'écoute, je regarde, je caresse. J'ai une sorte d'existence que je préfère à toute autre. Si vous me serrez dans vos bras, je jouis d'un bonheur au-delà duquel je n'en conçois point. Il y a quatre ans que vous me parûtes belle, aujourd'hui je vous trouve plus belle encore. C'est la magie de la constance, la plus difficile et la plus rare de nos vertus".
Sentire, amare, ascoltare, guardare, carezzare, essere stretto tra le sue braccia: chiunque sia stata Louise-Henriette per Denis (e si sa bene chi fu), per chi legge quelle parole, Sophie, nome tanto pudicamente loquace, è allegoria della vita, quando questa diviene saggia.
La si trova bella, nel momento in cui la si conosce. Trovarla ancora più bella, anno dopo anno e quando gli anni cominciano a crescere da soli e, con essi, la chiara percezione che fuori di un tempo ormai divenuto nemico non c'è più tempo se non per il desiderio morboso che presto giunga un non-tempo, trovarla ancora più bella, Sophie come la vita, è effetto di una virtù: la costanza. La costanza di vivere.
Il momento è ciclicamente propizio ai voti. Ed ecco l'augurio che Apollonio fa ai suoi due costanti lettori e a se stesso: nutrire la forte virtù che consente di mettere a tacere la voglia di concedersi al non-tempo. E di trovare ancora bella, anzi ancora più bella, Sophie, la vita.

20 dicembre 2010

Upside-down

Noam Chomsky ha di recente concesso una lunga intervista alla Rete 2 della Radio della Svizzera Italiana: su temi politici. Perché anche questa modesta tribuna? Perché "il metodo nell’analisi linguistica e nel decriptaggio della politica e della propaganda è in sostanza lo stesso".
Ilare e al tempo stesso sconsolato, Apollonio non sa dire se, più che adontarsene, dovrebbe preoccuparsene chiunque abbia un po' di sale in zucca: come incessantemente si ripete, si tratta infatti, oggi, del "più celebre degli intellettuali a livello mondiale".
Sarebbe ad ogni modo il caso che se ne preoccupasse chi fa il linguista: ammesso e non concesso che tale professione sia compatibile col sale in zucca (come si è ricordato in un post di qualche mese fa, Antoine Meillet, per es., si pronunciò per l'incompatibilità).
All'andazzo della disciplina (e del mondo accademico in cui la disciplina vivacchia), Chomsky si è rivelato ben adeguato: lo si sa bene ormai da un cinquantennio. Non sarà però perché, come ogni altro essere umano ma attingendo personalmente il sublime, per dote innata egli è ricorsivamente ed infinitamente scemo?

L'intervista (e l'immagine).