"Ci vediamo settimana prossima" lancia Fabio Volo non sa bene Apollonio a quale ospite di un suo programma serale. E, in altra trasmissione televisiva mattutina di cui non si saprebbero qui dare le coordinate, il passaggio viene riproposto all'illustrissimo accademico opportunamente convocato, per la riprovazione di rito.
Riprovazione che arriva puntuale: "La settimana prossima avrebbe dovuto dire". E ci mancherebbe! Ma è l'andazzo (ed è quindi l'italiano tendenziale), sostenuto da più d'una ragione contestuale, come la pressione di prestigiosi modelli alloglotti. Non c'è italofono/a sotto i cinquanta che, dandosi il caso e per non parere precocemente invecchiato/a, non si esprimerebbe, ahinoi!, come il famoso attore-scrittore.
Ad Apollonio, che di anni ne ha quasi duemila, settimana prossima dà del resto moderatamente sui nervi, lo ammette. E non ne ha fatto tema di una puntata della rubrica delle sue "Intolleranze" solo per non rendersi ancora più antipatico (ammesso sia possibile) a quel decimo dei suoi lettori che, titolari dell'italiano elvetico, gli mostrano quasi quotidianamente di non avere, in proposito, altra forma di esprimersi. Ma non è questo il punto del presente frustolo.
Non c'è prescrizione d'uso, infatti, che il grammatico normativo ammetta sia o questione di gusto o faccetta di interni ed arbitrari equilibri funzionali del sistema linguistico. Sempre gli si presenta allo spirito, come una Erinni vindice dell'usurpazione che egli compie millantandosi giudice, l'esigenza di giustificare, davanti al mondo, la fondatezza di ciò che pretende di imporre e l'infondatezza di ciò che (impotente) stigmatizza. E quale fondatezza, quale diritto sono maggiori di quelli del perseguimento d'una (presunta) logica, nel dire?
Inseguito da una deliziosa, rossocrinita Erinni, all'accademico vien fatto di argomentare: "...ci vediamo domenica prossima sì, perché domenica è determinato e quindi non necessita dell'articolo determinativo. Non è determinato, invece, settimana prossima e quindi settimana impone l'articolo determinativo".
Come può (e forse come sa), egli sfiora così (e gliene si sarà in ogni caso grati, vista la sede) il mistero della differenza, nei nomi, tra ciò che è proprio e ciò che è comune.
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