"Arrivooooo!" grida dalle scale Apollonio al fastidioso affine che, sul portone, continua a scampanellare. E non ha ancora finito di articolare quella lunga "o" che (vizio d'una natura perversa, lo ammette) gli si parano come per incanto davanti le dozzine di pagine di opere diverse del corrente ingegno linguistico globale in cui gli è capitato di leggere della cosiddetta telicità, rappresentata spesso ed esemplarmente da quel verbo di cui sta articolando la prima persona singolare del presente indicativo, per significare che l'evento sarà pure telico ("per natura", succede anche di sentire affermare in modo inquietante) ma lui sta lì linguisticamente acquattato tra gli anfratti espressivi di una sua figurata (e quindi possibile se non proprio necessaria) duratività oppositiva: "...più cose tra il cielo e la terra..."
E giungerà mai al suo punto finale, sarà cioè telica questa parodia, involontaria, o volontaria e solo inconsapevole, o - il Cielo ne guardi dal crederlo - volontaria e consapevole manifestazione di un'epoca crudamente priva della rigorosa fantasia necessaria a (saper) vedere ed ascoltare, senza indeterminatezze, la vita?
Mi scuserà il tono semplice e leggero del mio pensiero ( peraltro rubato ad una schiava, tracia, di Talete), ma - tra il cielo e la terra - ci sono anche le scale che, affrontate con pensieri alti, potrebbero, loro sì, assumere una funzione dura -mente oppositiva alla natura telica del verbo "arrivare".
RispondiEliminaBlak
E già, arguto Lettore.
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