Non la pacata e riflessiva osservazione di ciò che concretamente, incessantemente e ineluttabilmente muta (testimone, la medesima vita umana), ma il cambiamento in sé, come un feticcio cui si deve un culto mistico, è tratto specifico della forma di civiltà che pare oggi non risparmiare più nessun angolo del mondo, diffusasi come si è, nei secoli, prima per lenta, poi per rapidissima epidemia.
I riti imposti da quel culto chiedono scenari continuamente cangianti e, lungi dal distrarre l'osservatore spassionato (cioè, etimologicamente, lo storico, se non per professione, per attitudine), il turbinio gli offre ottime condizioni per una prova, la cui messa in atto viene scambiata dai fedeli di quel culto per manifestazione di spirito retrivo, quando, semmai, è propriamente il contrario, dal momento che è un modo di verificare quanto di sostanziale e quanto di meramente fenomenico ci sia nel cambiamento.
Non è nuova, ma vale la pena sia ribadita l'osservazione che, pur nel mutare degli scenari, non le persone, che sono effimeri tokens, ma i personaggi, che sono durevoli types, con le loro attitudini e i loro modi (umani) di condursi, sono caratterizzati da tratti che si ripetono. Ed è suggestivo pensare, passando dalla diacronia all'etologia, che gli atti scenici che ne conseguono siano determinati in modo decisivo da una sorta di coazione a ripetere, tragica talvolta, talaltra comica, sempre, vista la sua evidenza, impudicamente esibita.
Un caso esemplare, nella presente temperie, è recato dalla diffusissima attitudine alla predica profetica. La scena pubblica e, in modo debordante, il palcoscenico intellettuale conta oggi mille e mille predicatori e predicatrici, che sgomitano alla ricerca di ascolto.
Nella ressa, s'alzano le loro voci che ingiungono a chi le ode ravvedimento e cambiamento (di stile) di vita, che dichiarano l'esigenza universale di mondarsi e, mondandosi, di mondare il mondo, che invitano a muoversi verso nuove terresante in un comunitario pellegrinaggio, meglio se non proprio inerme, come pellegrinaggio, visto che, sulla strada, non è detto si manchi di incrociare qualche infedele.
Non c'è àmbito della società globale che al momento sia immune da prediche profetiche e ammonitrici e nello spettacolo, ripetitivo e quindi fondamentalmente noioso, bisogna che si ammetta che, forniti da qualche guitto, ci sono qui e là sprazzi esilaranti.
"la voluttà di gridare 'la colpa è tua!' essendo la più forte che creatura umana possa godere, tutte le verità e tutti i sentimenti venivano travolti"
RispondiEliminahttps://dascola.me/2020/04/25/ad-apollonio-discolo-da-pollaiolo-dashqelon/
RispondiEliminaGrazie, fedele Lettore e Collega blogger. Apollonio ribadisce che la ripresa gli reca onore. E grazie anche al Lettore o alla Lettrice senza nome per la citazione gattoparda: al di fuori del suo mal dominato consorte, Maria Stella non voleva tuttavia portare con sé nessuno. Non predicava, guaiolava in una privatissima stanza da letto, con l'esito prevedibile di venire messa velocemente a tacere dall'autorevolezza di un autolesionista Fabrizio. Il pugno comicamente rabbioso che egli sferra nel vuoto colpisce malamente il suo ginocchio e tutto termina lì, con il contatto coniugale, gamba contro gamba, che sopisce In Maria Stella ogni conato di inutile rivolta. Dei due, lei fa tenerezza, lui, come per quasi tutto il romanzo, fa la figura dell'irrimediabile cretino, ragione per la quale non c'è lettore del romanzo (Apollonio in testa) che, per qualche aspetto, non finisca per sentirglisi accomunato.
RispondiEliminaMa il tocco del principe scrittore non sta appunto nell'accomunare profeti e consorti, rondini e cani, nel medesimo panorama di sublunari debolezze?
RispondiEliminaDice bene, Lettore o Lettrice senza nome, ma dalla prospettiva generale. Tra le sublunari debolezze il narratore fa distinzioni che chi legge, se presta attenzione, non può trascurare. E ci sono le rondini e le formiche, le bertucce e i pappagalli e così via. E tra i cani, c'è il cane da mandria (Pirrone) e i cani da compagnia (Bendicò, Mariannina), per esempio. Maria Stella (cagnetta da salotto), insomma, non è Tancredi (che è gatto o serpe) né Angelica (che è lupatta), non è Sedara (iena) né Tumeo (cane da caccia) e così via. Se una cosa è mirabile in quell'opera, sotto l'apparente contemplazione del nulla della morte, è la vivissima capacità di distinguere tra i vivi e l'invito a farlo. Le differenze e la capacità di percepirle sono del resto l'essenza della nobiltà (di spirito). Apollonio Le è gratissimo dei Suoi commenti.
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