Diversamente da quanto corrivamente credono non solo i profani e le profane, ma anche fior di specialisti e specialiste, la lingua non è fatta di parole (o, in modo più sofisticato, di parole e procedure, di lessico e di computazione), ma radicalmente e solo di procedure.
È una procedura, niente altro che una procedura, la fondamentale, inesausta, continua attività da cui sortisce qualcosa che significa (un 'quanto' significante) e qualcosa che ne è significato (un 'quanto' significato).
Nei solchi tracciati da miriadi di tradizioni culturali diverse, tale procedura non agisce una volta per tutte. Agisce tutte le volte che un essere umano accede alla sua capacità di parola, anche solo interiormente (come si fa, in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi e non solo nell'ascolto degli altri). Agisce atto dopo atto, momento dopo momento (è quanto, della procedura, Ferdinand de Saussure chiamava parole), ma appunto in modo sistematico (è quanto il medesimo chiamava langue).
Che la lingua sia una 'energia', un continuo farsi e poco o per nulla una collezione di dati, di fatti da conservare e, caso mai, da ricombinare, apparve d'altra parte chiaro già a Wilhelm von Humboldt or sono due secoli, senza che gli sfuggisse naturalmente le strabilianti varietà e stratificazione storica dei relativi fenomeni.
Tale energia si esercita basicamente nei modi e nei termini indicati meno di cento anni dopo dal già menzionato Saussure con penetrante precisione. Ovviamente, non in tutta la loro vastissima gamma, non in tutti i loro innumerevoli dettagli. Solo per sommi capi, tanto grande e spaventoso gli parve quanto gli accadde di intuire.
Se infatti gli esseri umani esaurissero un giorno la conoscenza delle procedure della loro facoltà linguistica, avrebbero ipso facto esaurito la conoscenza di loro medesimi.
Per quanto si voglia essere ottimisti, è allora da ritenere molto improbabile che giunga a conseguire un risultato siffatto una mente umana, anche collettiva, come si presenta in effetti quella di una disciplina, ove questa disciplina fosse saggia e ben indirizzata, come oggi non è.
Le parole che stanno certo sulle labbra, sotto le penne, nelle orecchie e sotto gli occhi di tutti e tutte non sono che alcuni degli esiti di tali procedure (si badi bene, solo alcuni: ci sono infatti esiti calcolabili e calcolati, privi di manifestazione). Sono quanto ne viene prodotto.
È ovvio che le parole per sé attirino l'attenzione di chi, restando sulla superficie, si ferma al prodotto e non solo non bada al modo della produzione, ma spesso non immagina nemmeno che esso esista, attribuendo ai prodotti lo statuto di enti: cose che esistono per se medesime.
Costui o costei ritiene che tutto stia lì, bell'e fatto, eventualmente solo variabile, caso mai, nelle forme di un gigantesco deposito in cui si va a prendere quanto serve, ficcandolo alla bisogna dove serve.
È a un modello come questo che si ispirano i tentativi ingegneristici, molto fortunati oggi e di certo ancora più fortunati in futuro, di simulare la facoltà linguistica umana nella conformità dei suoi esiti, simulandone in realtà un'apparenza più che bastevole alla meccanica elementare degli scopi pratici e comunicativi che ci si prefigge. Scopi la cui taglia incoraggia a considerare spettacolari, celandone la reale pochezza.
A ben vedere, tali tentativi non si basano in effetti sopra fondamenti diversi da quelli della più vieta, millenaria tradizione filologico-grammaticale. Hanno mezzi classificatori enormemente più efficienti, ma hanno della lingua un'idea non diversa da quella che a un profano può avere fornito la più corriva formazione scolastica: ci sono delle parole e tutto sta nel metterle insieme di modo che a qualcuno paiano appropriate.
Ciò che è meccanizzabile, ciò che si sta meccanizzando, in altre parole, è il tendenziale o già realizzato conformismo di una sterminata gamma di pratiche comunicative e non la facoltà linguistica umana.
Ma già altre volte, nella storia della civiltà in cui questo minuscolo diario cerca con modestia di prosperare, si sono imboccate strade che, invece di condurre verso una migliore e più ponderata comprensione degli esseri umani, sembrano portare verso usi smodati dei mezzi di cui si dispone, usi indotti da un'inconsapevole e irresponsabile volontà di potenza e di dominio.
Idee chiare, una vita intera di lavoro e pensiero dell'alter ego d'Apollonio, oltre ad una perfetta messa a fuoco di quanto di meglio è riuscita a dare quella disciplina pur malamente indirizzata e governata. Tuttavia, mi sento di dire, meno male che in qualche modo esiste e resiste! Quanto meno, rende ancor più interessante lo stare a vedere quel che accadrà.
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