Si dice corrivamente che l'operare di chi ha potere e aspira a consolidarlo tragga beneficio dall'essere circondato dal silenzio. La faccenda merita tuttavia una riflessione. Da sempre. Tanto più in un'epoca infestata dalla comunicazione, come la corrente.
Il potente brama infatti un'approvazione e il silenzio può alimentare il sospetto che il consenso gli faccia difetto. Un sospetto che può sottilmente farsi pubblico.
Capita così che al silenzio, oggi soprattutto, il potente preferisca espressioni esplicite di dissenso, pronte d'altra parte a innescare i peana dei suoi compari e di chi, in un modo o nell'altro, lo puntella.
Ed è così che per chi conserva un po' di giudizio, davanti a uno spregiato potere, tacere radicalmente è una risorsa. Talvolta, l'unica risorsa per prendere sostanziale distanza dal potente, decretandone l'irrilevanza, cioè quanto il potere detesta massimamente. L'essere smascherato come irrilevante dal silenzio che lo circonda. Irrilevante come è spesso e oggi sempre più di ieri. "A lot of talk and a badge", si dirà insomma, per solo apparente paradosso.
A ben vedere, "Parla!" è ciò che si ingiunge a chi subisce un interrogatorio, come oggi accade più spesso di quanto non si creda e con il supporto di argomenti che, diversi dagli antichi, si ritengono in ogni caso di gran peso. Non parlare è in tal caso un obbligo morale. E non parlare del potente, non unirsi ai cori di chi, biasimandolo o lodandolo, ne sostiene in sostanza il potere, è forse l'estrema opposizione.
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