Per il sempre più irrisorio costo di produzione del necessario supporto materiale, le memorie elettroniche hanno avuto una crescita gigantesca. Sono cresciuti correlativamente gli strumenti atti a rovistarvi con fulminea rapidità e a farci calcoli. Memorie e strumenti, si badi bene, messi a punto da esseri umani, a partire dalle loro capacità e dalle loro conoscenze: macchine e strumenti umani all'eccesso, troppo umani.
Tali strumenti sono sempre meglio "istruiti" allo scopo (le virgolette sono d'obbligo a segnalare la metafora: nessuno lo fa), ma non vanno oltre naturalmente ciò che può fare una macchina, capace solo di correre sulla superficie delle cose. E di cose, va detto, che sono state stoccate alla bell'e meglio, senza alcun criterio di immagazzinamento (inutile all'uopo perdere tempo, se lo strumento di ricerca mette solo qualche nano-secondo in più a trovare) o con criteri di immagazzinamento più vecchi del cucco, nel caso di aree specifiche del comportamento e dell'esperienza umana, come è la lingua.
Così che, immagine comicamente apocalittica, Dioniso il Trace o l'Apollonio di cui questo diario usurpa il nome si trovano a fornire concetti e categorie a elaborazioni che, presto, saranno proposte come quantistiche: bizzarra e putrefatta apoteosi delle parti del discorso e delle viete etichette categoriali con cui, da più di due millenni, si fa grammatica.
In funzione dei risultati e venendo al presunto sodo: qualitativamente, quanto fa una macchina è molto meno di quanto possa fare il più stupido essere umano, capace appunto di cogliere (anche inconsapevolmente) complesse relazioni tra forme e funzioni (con fuorviante e pericolosa grossolanità spiritualista, c'è chi dice "il senso"); quantitativamente, è però molto più di quanto possa fare il più performante essere umano.
A leggere l'intera Comédie humaine, poniamo, per tirarne qualche cosa che gli pare linguisticamente, cioè funzionalmente, significativo, un pover'uomo metterà umanamente mesi, se non anni. Non le sofisticate diavolerie specialistiche, ma il più sciocco e popolare programma di ricerca, troppo umano, ci metterà pochi secondi.
Il dato che ne sarà stato estratto (e che quindi è in realtà un "preso") sarà allora lo stesso? Nemmeno per sogno, ovviamente. E non si può dire lo sia sotto nessuna prospettiva scientifica che si rispetti e che valga la pena di considerare valida epistemologicamente.
Da un lato, esso sarà parte di una Erlebnis, di una esperienza formativa: sarà insomma un costrutto e come tale sarà qualitativamente utilizzato da chi l'ha preso e costruito; sarà un dato (o un preso) umano. Dall'altro, sarà invece un oggetto inerte, opaco, una mera quantità, tirata fuori, per chi se ne serve, dal gigantesco nulla di conoscenza consentito dall'uso dello strumento: fondato meccanicamente sopra una cieca utilizzazione strumentale di luoghi comuni concettuali, sarà insomma un dato (o un preso) umano all'eccesso, troppo umano.
Si tratta, come sempre, di una scelta. E non c'è stupirsi quanto a quella che si sta facendo e sarà fatta anche in funzione di caratteri che definiscono gli esseri umani, come è appunto la lingua, se si considera la via imboccata da questa civiltà ormai secoli or sono, quando intraprese la via del troppo umano.
Già gli artigiani e in tempi che ormai possono essere considerati remoti furono infatti posti davanti al secco dilemma tra morire di fame o diventare sostituibili, come via via sempre più superflue appendici di un telaio o di un tornio meccanico: troppo umani. Non è diverso ciò che sta succedendo nella produzione delle attività e delle discipline che un tempo si definivano morali.
A chi stima che quella che si prospetta nella pratica del mestiere della lingua non sia scienza, in nessuno dei valori possibili della nozione, ma una sua parodia, resta il compito di dare fin quando si potrà una testimonianza, con la sorridente e consapevole illusione di una eventuale resipiscenza: ci sono infatti errori che provocano danni irreparabili, lungo vie di devastazioni irreversibili.
Tratto umano, forma, nel più alto valore della nozione, con cui gli esseri umani si esprimono e si rivolgono gli uni agli altri, la lingua, proprio nella sua essenza meccanica, cioè nei modi del suo funzionamento, è inaccessibile alle macchine e quello che le macchine ne tirano fuori, a grandi numeri, chissà cos'è. Ragionevolmente, scorie in sterminate quantità, come è tipico e caratteristico appunto delle procedure umane in eccesso: delle procedure troppo umane.
Troppo complesso
RispondiEliminaProprio così, Lettore o Lettrice senza nome. E il tema, creda ad Apollonio, lo è anche per lui. Non tutto è semplice, nei fenomeni, d'altra parte, e una delle mistificazioni correnti è che tutto possa essere ridotto, come fenomeno, a semplicità. Contro il luogo comune, pensi a quanto è già faticoso pensare alla macchina non come asettica assenza, ma come infetto eccesso di umanità e di un'umanità che, fuori di tale consapevolezza, è ipso facto deteriore.
EliminaDell'ornitologia, o lenimento delle pene d'amore ("quando fanno il loro nido in America i pettirossi? Mio marito mi ha promesso di ritornar nella stagione beata che il pettirosso rifà la nidiata" / "Mi rincresce, non ho studiato ornitologia")
RispondiEliminaAmaramente ironici Illica e Giacosa, Lettore o Lettrice senza nome...
EliminaMa chissà se la macchina lo capisce...
RispondiElimina"Certamente no" sarebbe una risposta facile, Lettore o Lettrice senza nome, ma nasconderebbe l'insensatezza della domanda. In riferimento alla lingua, si capisce (cosa sia, cosa faccia) la macchina quando si smette appunto di chiedersi se capisce (del resto funziona così, spesso, anche con gli esseri umani, di cui la macchina, come appunto si prova a dire nel frustolo, non è che un eccesso).
EliminaNon vedo la ineluttabilità, quanto alla lingua, di un processo che conduca a diventare tutti indistintamente superflue appendici d'una macchina. Magari tutt'altro, occorrerà sempre, e sempre di più, chi vada a "immagazzinare cose" nelle macchine e chi sa mai che in prosieguo si renda necessario un qualche ordine nello stoccaggio, che può essere di conferimento solo umano.
RispondiEliminaGrazie del commento, Lettore o Lettrice senza nome. Apollonio fa nuovamente ammenda per l'oscurità del frustolo, che, tocca precisare, non parla genericamente delle pratiche linguistiche quotidiane, ma di quelle, peraltro varie, di chi si occupa per mestiere della lingua. Quanto al carattere solo e necessariamente umano dell'immagazzinamento dei cosiddetti dati, Apollonio nutre d'altra parte qualche perplessità: non da oggi, della parole, si fa una indiscriminata e meccanica (cioè troppo umana) pesca a strascico, grazie a strumenti di registrazione dalla diffusione capillare (e inquietante, ci sarebbe da aggiungere). E, lungi dal simulare la langue, il Web semantico ha l'aria d'essere, come algoritmo su base lessicale, un glossatore fulmineamente stupido. Cioè dal comportamento fondamentalmente non diverso, se non quantitativamente, da quello degli umani che, persa la nozione del limite, sono appunto umani in eccesso - ed è quanto il frustolo suggerisce sotto traccia.
EliminaNon mi pare che Apollonio debba far ammenda d'oscurità. Ha gettato lo sguardo su una sorta d'abisso, su processi di complessità estrema. Uno sguardo almeno in certa misura illuminante, direi proprio. Certo, il frustolo esige attenzione, il calcolo interpretativo in certi snodi richiede qualche fatica. Ed esige riflessione. Cosa che è di pregio, difficile dubitarne.
RispondiEliminaGrazie del conforto, Lettore o Lettrice senza nome. C'è più di un pizzico di inquietudine, come Lei coglie, nelle parole di Apollonio, temperata dalla certezza di non avere il tempo di vedere come andrà a finire. Di avere dunque solo facoltà di immaginarlo, con la speranza di sbagliarsi.
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