6 dicembre 2024

Linguistica candida (71): Semplicità della lingua

Ad Apollonio non sono mai andate a genio la scimmiottature delle scienze della natura messe in scena di tanto in tanto da coloro che, come lui, pretendono di occuparsi della lingua. E, pur nutrendo ammirazione e fiducia per gli avanzamenti di conoscenza che vengono da quel lato della ricerca umana (lo si precisa a scanso di equivoci), resta sempre scettico in proposito quanto alla partizione tra il duro e il molle. 
Da parte di chi rivendica per sé la prima qualificazione, gli è sempre parso perlomeno un (adolescenziale) difetto di eleganza. Molto meglio sarebbe che si fosse tutti capaci di riconoscere lo stato delle rispettive ignoranze (e delle correlate impotenze), non per piangersi addosso, ovviamente, ma per maturo sentimento di fraternità: con buona volontà, da ogni punto di vista, ci si prova, insomma.
Ciò premesso e non per paradosso, ma nella medesima vena, Apollonio e il suo alter ego, da quando le conoscono, hanno trovato congeniali al loro ozioso lavoro sulla lingua le parole che Richard Feynman, il celebre fisico statunitense, proferì nel corso di un'intervista televisiva (Take the world from another point of view, ne era il titolo e ebbe luogo nei primi anni Settanta del secolo scorso): "...and nature is no doubt simpler than all our thoughts about it now. And the question is, what way do we have to think about it so that we understand its simplicity?".
Basta che a natura vi si sostituisca lingua ed esse fanno precisamente al caso della disciplina che le si dedica. E la domanda principale di tale disciplina diventa la medesima che Feynman assegna alle scienze della natura: come pensare la lingua in modo tale da comprenderne la semplicità? 
Fu, a ben vedere, la domanda che si pose a suo tempo Ferdinand de Saussure, fornendole una risposta, come appunto si deve, nei termini sperimentali di un metodo. 
Con qualche sporadica applicazione nel corso del Novecento, esso è sostanzialmente rimasto lì e attende di essere messo all'opera con rigore da una ricerca finalmente priva di millenari e sempre rinnovati (pre)concetti, dottrinali, appunto, più che scientifici.