Ad Apollonio non sono mai andate a genio la scimmiottature delle scienze della natura messe in scena di tanto in tanto da coloro che, come lui, pretendono di occuparsi della lingua. E, pur nutrendo ammirazione e fiducia per gli avanzamenti di conoscenza che vengono da quel lato della ricerca umana (lo si precisa a scanso di equivoci), resta sempre scettico in proposito quanto alla partizione tra il duro e il molle.
Da parte di chi rivendica per sé la prima qualificazione, gli è sempre parso perlomeno un (adolescenziale) difetto di eleganza. Molto meglio sarebbe che si fosse tutti capaci di riconoscere lo stato delle rispettive ignoranze (e delle correlate impotenze), non per piangersi addosso, ovviamente, ma per maturo sentimento di fraternità: con buona volontà, da ogni punto di vista, ci si prova, insomma.
Ciò premesso e non per paradosso, ma nella medesima vena, Apollonio e il suo alter ego, da quando le conoscono, hanno trovato congeniali al loro ozioso lavoro sulla lingua le parole che Richard Feynman, il celebre fisico statunitense, proferì nel corso di un'intervista televisiva (Take the world from another point of view, ne era il titolo e ebbe luogo nei primi anni Settanta del secolo scorso): "...and nature is no doubt simpler than all our thoughts about it now. And the question is, what way do we have to think about it so that we understand its simplicity?".
Basta che a natura vi si sostituisca lingua ed esse fanno precisamente al caso della disciplina che le si dedica. E la domanda principale di tale disciplina diventa la medesima che Feynman assegna alle scienze della natura: come pensare la lingua in modo tale da comprenderne la semplicità?
Fu, a ben vedere, la domanda che si pose a suo tempo Ferdinand de Saussure, fornendole una risposta, come appunto si deve, nei termini sperimentali di un metodo.
Con qualche sporadica applicazione nel corso del Novecento, esso è sostanzialmente rimasto lì e attende di essere messo all'opera con rigore da una ricerca finalmente priva di millenari e sempre rinnovati (pre)concetti, dottrinali, appunto, più che scientifici.
geniale!
RispondiEliminaLusingato dalla Sua generosa adesione, gentile Lettore o Lettrice senza nome. Etimologicamente perspicuo (quanto più modestamente?) era d'altra parte ciò che il frustolo si proponeva di risultare.
EliminaPer fortuna è rimasto lì. Può servire.
RispondiElimina“Faut-il dire notre pensée intime? Il est à craindre que la vue exacte de ce qu’est la langue ne conduise à douter de l’avenir de la linguistique. Il y a disproportion, pour cette science, entre la somme d’opérations nécessaires pour saisir rationnellement l’objet, et l’importance de l’objet: de même qu’il aurait disproportion entre la recherche scientifique de ce qui se passe pendant une partie de jeu et l’[ ]”... Apollonio è un vecchio brontolone e rimesta testardamente i suoi ponzamenti, nella speranza di riuscire a dirli a se stesso in una maniera più chiara. Non è detto vada così. Perciò, per una risposta, La rinvia, amichevole Lettrice, al primo frustolo di questo diario, datato 1 dicembre 2005. EccoLe il link: https://apolloniodiscolo.blogspot.com/2005/12/faut-il-dire-notre-pense-intime.html
Elimina«quelle formule struggenti (A5 [B2] C5 [D5' (E2')]) che il semiologo formalista ama suonare sotto il balcone delle scienze esatte» (Fruttero & Lucentini, 1989)
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