Con l'aggeggio che chiama computer, Apollonio fa molto raramente ciò che quel nome pare indicare si faccia d'elezione: calcolare. E scommette che un gran numero di coloro che leggono questo diario siano nella medesima condizione. Usano intensamente un computer, ma piuttosto raramente per fare o fargli fare calcoli.
Come prestito, ormai ben più che acclimatato, computer è parola rimbalzata in italiano dall'inglese negli ultimi decenni del Novecento: è appena il caso di dirlo. Ha morfologia da nomen agentis, opaca però fuori del gruppo germanico. In inglese, a sua volta il verbo relativo era arrivato per trafila dotta (prima attestazione, pare, verso la fine del Cinquecento), esemplato sul latino computo 'io calcolo'. Computer vale insomma 'calcolatore', né più né meno.
Anch'esso nomen agentis, anch'esso derivato da un verbo, l'italiano calcolatore avrebbe fatto dunque il suo mestiere degnamente come nome del medesimo aggeggio, se la concorrenza di computer non l'avesse annichilito.
Nella produzione e nel commercio delle parole, lo si dirà un caso di dumping lessicale? È d'altra parte più o meno quanto è accaduto a pellicola con film, perlomeno nel discorso cinematografico. Ambedue sono in ogni caso esempi perspicui di designazioni ottenute grazie a una procedura metonimica: il supporto materiale per quanto di spirituale vi si trova supportato.
Di calcolatore, Apollonio ricorda come fosse sufficientemente in uso ancora sul principio degli anni Ottanta del secolo scorso, perlomeno per i grandi impianti aziendali o universitari. L'arrivo dell'informatica personale e di massa ha deciso la partita. Ormai non c'è più quasi nessuno che lo calcoli, calcolatore. Ancora più sfortunato si è rivelato il presto scomparso elaboratore.
Come film rispetto a pellicola, computer è meno trasparente di calcolatore, per chi vive in italiano. E anche ciò deve avere decretato l'opposta fortuna dell'uno e dell'altro. Perché una parola si imponga, non è detto sia un bene che si capisca cosa vuole dire. E i prestiti, con la loro aura misteriosa e affascinante, stanno lì proprio a fare questo. Capita appunto che talvolta aiutino a non capire cosa si ode e persino cosa si dice. Ed è questa una condizione che, non paia un paradosso, rende quasi sempre più fluida ed efficace la comunicazione. Chiedere in proposito a chi fa usi pubblici della parola, come accade in politica o nella pubblicità... Parere chiari è ben diverso da essere chiari.
Andata come è andata tra computer e suoi concorrenti fatti in casa e finiti fuori del mercato, resta che - lo si diceva sul principio - computo e calcolo hanno spazi e tempi marginali nell'uso popolare e universale della macchina così designata. C'è chi ci scrive, c'è chi ci gioca, c'è chi ci tiene conversazioni e rapporti, c'è chi ci si intrattiene con spettacoli d'ogni sorta, c'è chi ci si informa, c'è chi ci studia e così via. C'è soprattutto chi con esso svolge tutte queste attività e ancora molte altre: dagli acquisti alle prenotazioni, dalle scommesse all'adescamento, dai furti ai ricatti, dallo spionaggio alla guerra.
Tutte, lo si sa, corrispondono a calcoli dentro la macchina, ma sarebbero guai se la macchina le presentasse appunto come tali. Sicché computer o, se ancora lo si considera, calcolatore finiscono per essere, a ben vedere, bizzarre designazioni metonimiche. O perché valgono per il tutto, mentre sono giustificate da una parte dell'uso. O perché nascono da una sostanza algoritmica invisibile e si applicano ad apparenze multiformi che fanno tutte da cortina di quella sostanza.
Non era così, per fare un paio di esempi, né per macchina da scrivere né per calcolatrice, designazioni di due arnesi meccanici che infanzia e adolescenza di Apollonio ebbero carissimi (né è il caso di dire perché) e che il computer ha ingoiato, senza sputarne una sola rotella.
Il fatto è che, nelle lingue, cose che motivino adeguatamente, per ciò che sono e che fanno, i nomi con cui le si chiama ce ne sono infine meno di quanto si creda. E non da oggi, visto che in proposito si conoscono ammonimenti già da parte di Quintiliano: "Transfertur ergo nomen aut uerbum ex eo loco in quo proprium est in eum in quo aut proprium deest aut tralatum proprio melius est. Id facimus aut quia necesse est aut quia significantius est aut, ut dixi, quia decentius".
Bisogna dunque che ci si rassegni: il lessico è un cafarnao di tropi e capita spesso che il princisbecco vi passi per oro colato. Il recente acronimo AI è caso paradigmatico, ma si è già approfittato troppo della pazienza di chi legge per non lasciarlo per intero alla sua personale ed intima riflessione.
Nel gioco linguistico che Apollonio descrive, la metonimia emerge come uno strumento potente, capace di sovvertire la trasparenza semantica a favore di un'affascinante opacità che rende il termine ‘computer’ più evocativo e meno immediato rispetto al più diretto ‘calcolatore’. In effetti, come ci ricorda Quintiliano, l’utilizzo di un termine 'trasferito' può essere motivato non solo dalla necessità, ma anche dalla ricerca di una dimensione più significativa o simbolicamente carica. Così, l'arrivo del termine 'computer' non è solo un atto di pragmatismo linguistico, ma il frutto di una dinamica culturale che arricchisce il linguaggio di nuove sfumature, amplificando il suo potere di connotazione. Il linguaggio, in effetti, non si limita a riflettere la realtà: la modella, la trasforma e, talvolta, ci rende più sfumata la comprensione di ciò che esprime. Ciò che appare come un caso di 'dumping lessicale' non è altro che una manifestazione della fluidità linguistica, della sua capacità di adattarsi e rinnovarsi continuamente, rispecchiando i cambiamenti tecnici e sociali in atto. La fortuna di un termine, come ‘computer’, non è solo legata alla sua funzionalità o alla sua aderenza semantica, ma anche alla sua capacità di veicolare una sensazione di novità e di modernità, di accogliere nel suo suono e nella sua forma la promessa di un mondo ancora da esplorare.
RispondiEliminaInfine, la riflessione sulla lingua come 'cafarnao di tropi' ci richiama alla mente un aspetto fondamentale della comunicazione umana: non c'è mai un punto finale, né una stabilità assoluta nei significati. Ogni prestito linguistico, ogni evoluzione, è segno di un processo di continuo arricchimento, un’incessante interazione tra necessità, estetica e convenzioni sociali che arricchiscono la lingua di nuovi orizzonti. Conserviamoci in salute.
Apollonio è grato al Lettore o alla Lettrice senza nome per un commento pieno di sostanziali arricchimenti della sua secca e accidentale riflessione, che ne viene così nobilitata. Solo una precisazione: dal suo punto di vista, cafarnao di tropi non è la lingua, ma il lessico. E sull'attenta distinzione che, a suo giudizio, va fatta in proposito, e non solo nelle sedi specialistiche, l'amichevole corrispondente troverà argomenti esposti, a più riprese e alla buona, in questo diario. C'è già e da sempre troppa gente, anche dottissima, che pensa che la lingua sia fatta dalle parole, quando invece è la lingua a fare le parole, incessantemente.
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